Thursday, September 30, 2010

ITALO CALVINO | SEPTEMBER 19, 1985





“If On A Winter’s Night A Traveller” or “American Lessons” to remember Italo Calvino who died 25 years ago.


STYLE INTO REBELLION | FEDERICO FELLINI |

Federico Fellini | 1979
by ‘first paparazzo’ Tazio Secchiaroli (Rizzoli 2003)

MANOLO BLAHNIK & SALVATORE DEODATO

Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato


Titano’s modelist was Armando Alberti, but starting from the sixties, Sciuccati had begun to hire designer Salvatore Deodato from the Marche region. Deodato brought a breath of fresh air that led to a dramatic twist throughout the district. Titano’s Deodato were way ahead of its time and sometimes hard to sell so that Sciuccati was forced to sell below cost. 
Anyway, those were marvelous shoes! Fantastic materials and great finishings. Not to mention the colours ...With the new tanning process that we developed, the designers had the chance to play with colours. And the first one who tried new paths was Salvatore Deodato. Andrea Pfister, Manolo Blahník and other designers followed suit... 
August, 2010

(All the pics from the Zaffaroni Collection by Gianluca Colombo)


Salvatore Deodato, siciliano, ma marchigiano di adozione, ha portato una ventata di novità e ha dato una svolta alla Moda e alla produzione in tutto il distretto di Parabiago. Persino eccessiva per i tempi, perché le scarpe Titano disegnate da Deodato erano fatte molto bene, ma troppo all'avanguardia, per cui Sciuccati faceva fatica a vendere e talvolta era anche costretto a vendere sottocosto. 
Ma che scarpe erano! Lavorate bene, ottimo il materiale. E poi le colorazioni… Grazie alle nuove tecniche di concia che avevamo sviluppato, i modellisti avevano la possibilità di sbizzarrirsi giocando coi colori. E il primo che ha sfruttato fino in fondo le nuove possibilità offerte dalla tecnologia è stato proprio Salvatore Deodato col calzaturificio Titano. Andrea Pfister, Manolo Blahnik e gli altri designer della calzatura e del colore sono venuti dopo...
Agosto 2010

(Tutte le foto della collezione Zaffaroni sono di Gianluca Colombo)
Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato

Manolo Blahník (left) holding the Doedato shoe pictured above;
Pierino Proverbio (center) master artisan from the Parabiago district and
childhood friend of Erminio Zaffaroni (right).

Titano | Cerro Maggiore
Designed by Armando Alberti
Photograph: Gianluca Colombo

Parabiago | Villa Corvini
L to R: Mr. Proverbio, Mr. Zaffaroni, Mr. Blahnik looking at the shoe pictured below

Parabiago | Villa Corvini
L to R: Mr. Blahnik holding a Deodato shoe, Mr. Proverbio

Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato


SALVATORE DEODATO FOR TITANO
OUTTAKES

THE SHOE FACTORY TITANO
I N D E X


Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato

MANOLO BLAHNIK & SALVATORE DEODATO (Outtakes)

Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato
Photograph: WOP

San Remo by Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato
Photograph: Gianluca Colombo

Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato
Photograph: Gianluca Colombo

Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato
Photograph: Gianluca Colombo


SALVATORE DEODATO FOR TITANO
ENDORSED BY MANOLO BLAHNIK

THE SHOE FACTORY TITANO
I N D E X


Titano | Cerro Maggiore
Designed by Salvatore Deodato

FONDAZIONE GIANFRANCO FERRÉ (Errata Corrige)



Nel numero 1 di Paddock abbiamo riportato in maniera errata il nome di Alberto Ferré, vice presidente della Fondazione. Ci scusiamo con l'interessato e, visto che siamo in argomento,  suggeriamo di riguardare i disegni di Gianfranco Ferré e soprattutto rileggere con attenzione le parole di Rita Airaghi.

Tuesday, September 21, 2010

SOTTO IL VESTITO L'ETICA | LUCA TESTONI SI RACCONTA |

LUCA TESTONI
L'Ultima Sfilata
Perling & Kupfer, 2010



Luca Testoni, autore de ‘L’ultima sfilata’ (Sperling & Kupfer, 2010) si racconta.

“Questo libro l’ho letto una prima volta e mi ha fatto incazzare per le accuse che lancia. Poi l’ho riletto e mi ha fatto ridere, perché racconta cose ridicole. Ecco, questo è il mio suggerimento, di leggerlo come una cosa poco seria”. E’ strano raccontare l’avventura editoriale de “L’Ultima sfilata” partendo da una frase tanto denigratoria. Eppure, nel lungo percorso di presentazione del libro (pubblicato in gennaio, ancora in ottobre sono previsti due appuntamenti di discussione, fatto insolito per una tipologia di saggi che abitualmente concludono la parabola nell’arco di due o tre mesi), quella frase ha rappresentato forse uno dei momenti meglio identificativi del suo significato. Perché a pronunciarla, nel corso di una presentazione affollata, è stata, con sprezzante quanto incomprensibile sicumera, una signora dell’alta gerarchia della moda italiana. Un esempio, un’icona, una bandiera. Che con le sue dichiarazioni rivelava ancora una volta l’approccio del sistema della casta: chiuso, sprezzante, ottuso.

Tralasciando di riportare il nome della signora in questione, e le strampalate dichiarazioni sulla “salute mai stata così ottima” del settore (valutazione che suscitò non pochi sorrisi della platea), a confutare le tesi “minimaliste” della casta è stato il percorso del libro. Nonostante il pervicace silenzio mantenuto e imposto dalle signore della moda, nonostante il black out iniziale sui grandi giornali per timore di rappresaglie pubblicitarie, “L’ultima sfilata” ha poi avuto una copertura Tv, radio e cartacea da caso letterario (ristampa compresa). Porta un duro attacco al sistema della moda italiana (quasi il seguito de i 'Mercanti di Moda' di Sean Blazer)dove il conto viene presentato a ognuno dei protagonisti del made in Italy: tradimenti, truffe, evasione fiscale, arroganza, bestemmie, tangenti, fallimenti e mistificazioni. Ma cerca anche di fare un passo avanti. Rende la moda uno specchio del declino di Milano e del Paese. E da qui, mentre il saggio diventa romanzo ambientato nel 2015 (data dell’Expo), la denuncia si trasforma in appello: la moda indichi la strada al Paese, una strada nuova e diversa. Una strada fatta di pulizia e qualità. Una strada costruita sull’etica e sulla verità.

Sembrano parole astratte. Eppure, il libro ha raccolto la spinta di sociologi, universitari, imprenditori e istituzioni alla ricerca di un’occasione per tornare a crederci e a combattere per un settore nuovo, per un Paese migliore. L’ultima sfilata ha probabilmente aiutato anche la settimana della moda milanese a ritrovare stimoli ed equilibri. Ed è diventato una “prima sfilata”, un primo passo di una battaglia etica sociale (e personale).

Insomma, c’era una domanda all’origine del libro “L’ultima sfilata”: può un libro sulla moda diventare simbolo di un piccolo rinascimento etico? Ho ricevuto la migliore risposta che potessi cercare.

Luca Testoni

(Oltre a ‘L’ultima sfilata’, Luca Testoni è coautore con Carlo Pambianco de ‘I signori dello stile’ (Sperling & Kupfer, 2008)





IL MADE IN ITALY, UNA STORIA CONTROVERSA / MADE IN ITALY, A CONTROVERSIAL STORY

WE NEED MORE STYLE
Photo by WOP
{English text below}

In un volume di piccole dimensioni, ma ricco di informazioni e di ipotesi, pubblicato, con lo pseudonimo di Sean Blazer (Mercanti di moda. Processo agli stilisti, Lubrina Editore, Bergamo 1997) ed ancora particolarmente stimolante ed attuale, Paolo Boggi presentava un'altra lettura delle vicende della moda italiana, e non solo, del secondo Novecento. Ne emergeva un quadro critico, interessante anche dal punto di vista sociologico oltre che economico, delle forme e della modalità che, a suo dire, avevano segnato l’irresistibile, “drogata” ascesa del Made in Italy e dei suoi discutibili protagonisti, gli stilisti. Una lettura audace e convinta, che nasceva da una conoscenza profonda di quel mondo, dei suoi aspetti positivi e soprattutto dei suoi limiti.
Se ne poteva apprezzare la franchezza nel descrivere la regola del profitto, la molla prima di ogni intrapresa privata, che Boggi definiva “alchimia del tramutar cenci in denaro sonante”. Un sistema durato per qualche decennio, sostenuto da una comunicazione pubblicitaria – un dato su cui si sofferma a lungo Boggi - che ha reso secondario il prodotto e le sue caratteristiche ed ha imposto un’idea della moda come sogno ed emotività. Una comunicazione che è l’opposto della conoscenza, nemica delle idee perché le è essenziale dissolvere tutti i contenuti, una sorta di bacchetta magica, apparentemente democratica, che giungendo direttamente al consumatore ha trasformato i fattori di debolezza in punti di forza.

Ora le cose si sono modificate, anche se permane il clima degli anni “eroici”. ‘Poveri con la griffe. Il lusso coatto e il ritorno al valore intrinseco’ è il chiaro titolo del recentissimo volume di Paolo Boggi (Lubrina Editore, 2010). In appendice ritroviamo il testo della Costituzione italiana con una motivazione che convince, in un tempo che impone nuove responsabilità di fronte alla crisi dell’economia e all’impossibilità di mantenere lo standard di vita degli anni trascorsi: “La Costituzione è il più importante abito di società, un capo che non può mancare nel guardaroba di un gentiluomo”. Possiamo dirla una provocazione positiva, un opportuno richiamo al valore delle regole condivise, al realismo, alla concretezza che la Carta costituzionale ha saputo trasferire alle istituzioni del paese Italia.
Dunque Boggi non si ritrova nella retorica del Made in Italy e tantomeno nella esaltazione della creatività italica, consegnata ai grandi stilisti nostrani. Su questi ultimi non lesina ironie e stroncature, gettando molti sassi nello stagno. Boggi però indica anche aspetti positivi e vie d’uscita.
Ho trovato interessanti le sue analisi perché la cultura storica della moda, in cui si concentrano eccessivi unanimismi,  ha un bisogno vitale di qualche voce fuori dal coro. Solo analisi realistiche e disincantate possono aiutare la costruzione di nuovi percorsi. E’ un dovere di chi opera nella formazione dei giovani alle molteplici professioni della moda, fornire loro un’immagine realistica, che possa affiancare e corroborare la grande passione che portano dentro, che ha bisogno di esprimersi a pieno ma anche di essere educata e guidata oltre le illusioni e le scorciatoie dei facili successi. 

Galliano Crinella



***


‘Mercanti Di Moda. Processo Agli Stilisti’ (Fashion Merchants. Fashion Designers On Trial – Lubrina Editore – 1997) is a small volume chock-full of information and thesis about the ups and downs of the Italian fashion world in the second half of the 20th century.
The author was Sean Blazer, nom de plume of Paolo Boggi (of Boggi fame). A critical analysis, interesting from a sociological as well as economic point of view, about the forms and procedures that, as he stated, had marked the glamorous, "drugged" rise of  the Made in Italy and its controversial players, the designers. A bold statement, which arose from the deep knowledge of the fashion world, its strengths and, above all, its limits.
       He was outspoken describing the rules of profit, which he specify as "alchemy of transmuting rags into cash." A system that lasted for decades, supported by marketing campaigns - an element on which Boggi focuses on for quite awhile - which made the product and its features secondary subordinate towards the idea of fashion as a dream with emotional impact. A type of communication that is the opposite of knowledge; enemy of the ideas. Advertisements that transform the weak parts into points of strength along the way to the customer.
       Nowadays it’s different although the climate of the "heroic" years remains. Poveri con la Griffe. Il Lusso Coatto e il Ritorno al Valore Intrinseco (The Poor With Luxury Brands. Compulsory Luxury And The Return To The Inherent Value) is the title of the latest effort by Paolo Boggi (Lubrina Editore). Here Boggi reprints the Italian Constitution because, in a time that requires new responsibilities in the face of an ongoing economic crisis and the hassles to maintain the living standard of the past, "The Constitution is the most important attire of society, a garment that cannot be missing from a gentleman's wardrobe." A thought-provoking statement: a necessary call for shared rules, realism and values the Italian Constitution stands for.
      Boggi therefore does not see himself into the rhetoric of the Made in Italy nor in the celebration of the Italian creativity, in this case God-given to the great Italian designers. He is making fun of them, not afraid of stirring things up. All the same he points out some positive facts and escape routes.
I found his analysis interesting because the fashion culture, where unanimity reigns, is in desperate need of a "maverick" voice.  Only true and disenchanted analysis can help build new paths. It's duty of teachers to prepare young people to face the many professional sectors of the fashion world; to provide them with a realistic view that can complement and support the great passion they have, which needs full expression, but also to guide them away from the illusions of shortcuts and easy money.

Galliano Crinella
President of the Undergraduate Course in Fashion Design at the University "Carlo Bo", Urbino, Italy.

Monday, September 20, 2010

STYLE INTO REBELLION | ERNEST HEMINGWAY |


EH 1392N | Ernest Hemingway 
bathes aboard the S. S. Jagiello en route from Genoa to Cuba, April/May 1949. Photograph in the Ernest Hemingway Photograph Collection, John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston.

Saturday, September 18, 2010

B.S. DETECTOR

Harry G. Frankfurt
On Bullshit [Hardcover]
Princeton University Press, 2005
Rizzoli, 2005
One of the most salient features of our culture is that there is so much bullshit. Everyone knows this. Each of us contributes his share. But we tend to take the situation for granted.

Harry G. Frankfurt


Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Tutti lo sanno. Ciascuno di noi dà il proprio contributo. Tendiamo però a dare per scontata questa situazione. 

Harry G. Frankfurt




Thursday, September 9, 2010

COPY EXPRESS | Tratto da "Mercanti Di Moda" di Sean Blazer (Paolo Boggi)



(Per gentile concessione dell’Editore)




L'anello finale della catena di compravendita è la manodopera intellettuale che parla o scrive di moda. Un buon lavoro da consigliare alle figlie laureate in lettere è proprio quello della giornalista di moda.

Gli stilisti le "comprano" facendo loro regali veramente regali a ogni occasione, Pasqua, Natale, Primavera, Autunno, festa della mamma, del papà, compleanno, onomastico, promozione. Le p.r. hanno un gran daffare a trasformare questi elegantissimi ricatti in gentlewomen's agreement, in pranzi di lavoro, in galateo mondano. In media le p.r. di uno stilista devono "seguire" i regali da fare a circa 250 giornaliste dalle cinque alle dieci volte l'anno. 


Si fa presto a calcolare che solo per questa voce partono miliardi come niente, mentre dall'altra parte, se sei una giornalista di moda, ricevi un centinaio di regali l'anno. Praticamente hai il guardaroba e l'arredamento costantemente rifatto, lussuoso, e soprattutto gratuito. A quel punto non ti costa davvero molta fatica continuare a cantare le lodi di oggetti che tu stessa desideri e possiedi senza sacrificio apparente.


In effetti gli opinionisti e le giornaliste di moda potrebbero anche essere aboliti perché il loro lavoro (di cui devono rispondere ai venditori di spazi pubblicitari) è svolto di fatto dalle p.r. e dai copy degli stilisti, che "pre-scrivono" i messaggi che devono arrivare al pubblico.
Ma la firma della giornalista serve a certificare la libertà di pensiero e opinione. È una garanzia per i consumatori. È una griffe dell'intelletto. Anche loro, quando sono famosi, "firmano" con lo stesso spirito degli stilisti. Una firma, una garanzia.
Al punto finale di massima fama le stesse interviste a uno stilista sono preparate, revisionate, curate da qualche anonimo copy che deve fare avanti e indietro più volte l'iter tra la giornalista famosa e il famoso stilista fino a che entrambi, intervistatore e intervistato, giudicano il testo adeguato alle rispettive necessità d'immagine.

Più la firma è nota, più vende. E più costa. Quando la propria firma costa tanto, uno non è più un giornalista, diventa un intellettuale.
Gli intellettuali sono un esercito e lavorano in tutti i settori, ma sembrano particolarmente attratti dal settore moda. Ci sono varie spiegazioni.

Innanzitutto il prodotto moda a differenza di altri prodotti, come per esempio la carne in scatola, per arrivare al consumatore ha bisogno del lavoro di moltissimi intellettuali. La carne in scatola esce dalla fabbrica di carne in scatola e arriva sulla tavola del consumatore passando per gli scaffali del supermercato. In questo processo l'unico intellettuale-venditore coinvolto è il rappresentante della carne in scatola che fa il giro dei supermercati a spiegare ai buyer le qualità del suo prodotto.
Il padrone della fabbrica di carne in scatola può pagare degli intellettuali-pubblicitari per produrre uno spot e poi farlo trasmettere o stampare sui giornali. Fine. Nessun altro intellettuale spenderà una parola a favore della carne in scatola. I mass media parleranno della carne in scatola solo se degli intellettuali-scienziati scopriranno che la carne in scatola fa male perché le mucche sono pazze. Parleranno della carne in scatola solo ed esclusivamente negli interessi dei consumatori, giustamente.
Non vi verranno a dire che la carne in scatola italiana vince le sfilate, ha stile, diffonde cultura. I produttori di carne in scatola non vengono nominati cavalieri del lavoro dallo Stato italiano.
La moda invece, rappresentando il settore trainante del mercato pubblicitario, produce comunicazione, e dove c'è comunicazione servono gli intellettuali.

Ci sono quelli che lavorano direttamente all'ufficio stampa di una casa di moda o all'agenzia pubblicitaria interna all'azienda, ci sono le p.r. delle case di moda, le p.r. delle agenzie pubblicitarie, le p.r. dei mass media, le p.r. delle concessionarie pubblicitarie e delle associazioni delle industrie tessili e cotoniere, ci sono i buyer-intellettuali e i loro consiglieri, ci sono tutti i giornalisti delle riviste di moda e di costume e tutti i giornalisti che hanno la pagine di moda o di costume sui quotidiani. Ci sono p.r. che mettono insieme le varie case, le varie associazioni, le varie aziende per organizzare le sfilate, gli eventi mondani e quelli televisivi. Poi ci sono tutti quelli che lavorano nella pubblicità e nelle pubbliche relazioni o fanno gli art director o i fotografi o i copy writer in settori diversi dalla moda ma guardano, comprano, criticano, conoscono la moda e la pubblicità della moda perché moda e pubblicità di moda sono ormai la cultura di base per questo tipo di professionisti. 


Tutti gli altri professionisti del cosiddetto terziario avanzato, manager, avvocati, medici, consulenti fiscali, per non avere complessi d'inferiorità culturale rispetto agli art director e ai creativi in genere, seguono l'onda. Qualcuno, per gratificarli, ha inventato il concetto di trend sitter.
Di solito si cercano i trend sitter a tutto campo nei lettori dei quotidiani comprando interi numeri dei supplementi. Armani, recentemente, dopo aver analizzato il pubblico dei vari quotidiani in cerca di lettori opinion leader dai 20 ai 40 anni, ha comprato cinque pagine de "Il Manifesto", quotidiano comunista i cui lettori non troppo tempo fa si lamentavano per le pubblicità della Fiat.

Il fatto è che la moda dopo il crollo del comunismo è diventata l'unico interesse comune tra gli intellettuali e il proletariato, visto che gli intellettuali snobbano il calcio.
Il massimo per un intellettuale è essere un intellettuale alla moda che si occupi di moda, sull'esempio di Roland Barthes. Per lo più, gli intellettuali che si occupano di moda sono sociologi, ma vanno bene anche i filosofi. Psicologi e scrittori, se sono di moda, tirano sempre. Solo i preti sono rimasti fuori. Per ora. Magari verranno buoni quando ci sarà da far la lotta con l'integralismo islamico per la libertà di minigonna e tacchi a spillo.

OUT OF VOGUE | THE PAOLO BOGGI INTERVIEW |




{English text below}

Interview by Milo Bandini/Irma Vivaldi


ControTendenza - Against The Flow

OUT OF VOGUE

Come il Made In Italy ha perso il suo valore direbbe Dana Thomas; ‘questione di etichetta’, secondo PAOLO BOGGI. Il 'valore culturale aggiunto' ha un prezzo. Elevato.

How ‘Made In Italy” lost its lustre’ to paraphrase Dana Thomas; the augmented cultural value comes with a price tag. According to PAOLO BOGGI a costly one.



Oltre tre anni prima di ‘No Logo’, Sean Blazer con ‘Mercanti Di Moda’ (Processo Agli Stilisti) spiegava le distorsioni derivanti dal culto dell’immagine, i mass media ostaggi della pubblicità, la crisi del tessile e anticipava la questione ‘cinese’. Sean Blazer era lo pseudonimo dietro il quale si celava Paolo Boggi, titolare dell’omonima catena di negozi di abbigliamento. A differenza di ‘No Logo’, ‘Mercanti di Moda’ non ha raggiunto il grande pubblico e l’effetto - potenzialmente dirompente - é rimasto confinato alla cerchia degli addetti ai lavori. Il tempo però gli ha dato ragione e oggi quel libretto al veleno é utilizzato come testo universitario. Abbiamo incontrato l’autore l’indomani della pubblicazione del nuovo libro ‘Poveri Con La Griffe’ ed il suo primo pensiero é stato questo:


Credo che una riflessione sul tessile e sulla moda possa rappresentare una risposta globale alle vostre domande. Io sono stato sempre convinto che un paese in via di industrializzazione - e che quindi deve creare benessere modernizzandosi per competere sempre più con gli altri Paesi - non debba considerare il tessile come industria trainante e primaria, o quantomeno debba lasciare il settore esclusivamente al capitale privato. 

In Italia il capitale pubblico ha invece riversato nel tessile risorse immense, aprendo fabbriche su tutto il territorio, per poi salvarle dallo stato fallimentare con la famosa GEPI. I nodi sembrava che non dovessero mai venire al pettine. Da un lato montava a dismisura un debito pubblico che tuttora costituisce il massimo problema nazionale; dall'altro le svalutazioni periodiche ci consentivano di restituire debiti scontati ed esercitare concorrenza sleale nei confronti degli altri Paesi produttori. 

La Cina era ancora lontana. Per anni arrivarono compratori  internazionali che, favoriti dal cambio e dallo scialacquo nazionale, portarono la Moda italiana nelle vetrine più prestigiose d'America e del mondo. In questo bailamme è fiorita la pianta dello stilista e un Paese creativo come questo ha fatto sì che diventassero celebri sia i veri creativi che quelli fasulli, complice la pubblicità. L'arrivo dell'Euro diede solo un apparente inizio all'emergere di molti problemi, ma si continuava a pensare che la moda fosse una nostra prerogativa. 

La Cina, l'avvento delle grandi catene e sopratutto la crisi del 2007, hanno cominciato a far esplodere ciò che c'era di sbagliato nel sistema. Da un paio d’anni i fallimenti del settore, sia per piccoli che per grandi, aumentano a vista d'occhio. I miei modesti scritti già allora volevano essere una denuncia della mancanza di cultura nella maggior parte dei consumatori e soprattutto della disinformazione, sia individuale che collettiva.


Quali reazioni le sono rimaste impresse in seguito alla pubblicazione di ‘Mercanti di Moda’ (Lubrina Editore 1997)?
Moltissime e positive da parte di chi era interessato a sapere e da tutti i critici verso un certo mondo.


Perché lo pseudonimo?
La pubblicazione di ‘Mercanti di Moda’ doveva essere necessariamente anonima, perché da dentro il sistema qualcuno scopriva gli altarini e sopratutto demoliva il delirio degli stilisti.

In realtà la sua prima avventura editoriale é stata la pubblicazione in versione tascabile della Costituzione Italiana. Come é nata l'idea?
Era un omaggio da tenere sulle casse: se anche un solo cliente ne avesse tratto beneficio, sarebbe stata un’operazione intelligente. In effetti mi ero sempre chiesto quanti Italiani avessero mai letto, o visto, la Costituzione. Un quadro di arretratezza generale: evasione, distribuzione commerciale frammentata e a carattere familiare, falsa cultura che obbliga ad indossare una griffe per sentirsi persona. La disinformazione degli italiani è secolare e condanna il Paese all'immobilismo culturale consegnandolo alla malavita, ai talenti dell'espediente e soprattutto alla guida e protezione degli oltre 950 Santi che la Chiesa gestisce con intelligenza.
In molti anni parecchia stampa nazionale ed estera ha lodato la mia iniziativa. La Costituzione mi fu persino richiesta da alcuni partiti e diverse scuole. E' tutto dire.


Recentemente ha deciso di ripubblicarla in calce a 'Poveri Con La Griffe', ma non ha sortito il medesimo effetto, anzi.
La pubblicazione recente della Costituzione non poteva avere il medesimo successo, perché non sono più a capo di una catena di distribuzione e anche perché la disaffezione alla cosa pubblica da parte dei nostri concittadini si è acuita maggiormente. Lo testimonia il pantano politico nel quale siamo caduti. 

Segno dei tempi quindi.
Quando un gruppo di ragazzini, in quel di Sirmione, sottrae con violenza i risparmi di una ragazza indiana - messi da parte per strappare il fratello alla morte - e con questi soldi va a far shopping di articoli griffati, io non credo che la colpa sia dei ragazzini, ma di quegli operatori che propongono questo carrozzone come un sogno da realizzare. 

Questo flash di cronaca ci deve far riflettere: dobbiamo cominciare ora ad uscire da un sistema economico e sociale che ha fatto danni pressoché irreparabili sull'animo umano. Ha fatto credere che l’uomo debba perseguire la felicità attraverso un consumismo deleterio. Magari delinquere per pagare l’immaterialità che grava sul prodotto. Immaterialità costruita da parte di stampa compiacente, testimonial e pseudo intellettuali.
Milioni di famiglie non dispongono di un libro, ma firmano cambiali per una griffe. Che società siamo? Non si può violentare il consumatore attraverso banali prodotti al punto da indurlo a privarsi di cose utili, indebitarsi o scendere a compromessi, strumentalizzando la sua ingenuità e riempiendogli la testa con modelli devastanti. 

Questa è la ragione del mio insistere sulle distorsioni del sistema Moda che probabilmente sarebbe da criticare anche se i prezzi fossero estremamente convenienti: un oggetto o un abito ci deve appena gratificare ma non ci può astrarre dalla realtà della vita quotidiana. E se proprio abbiamo bisogno di sognare, che questi sogni siano più elevati possibili e confortanti per la mente.


"Integrità dell'essere umano: cinque sensi e un'anima incorporata" é tra i suoi aforismi meglio riusciti.
Parto dal convincimento che l'anima è l'intelligenza, che può essere sviluppata e fatta crescere. Una funzione che il Potere, con la complicità delle religioni, non ha nessun interesse a far capire e spinge l'uomo a nutrirsi di ciò che fa comodo al sistema. 

Oltre che con Alberto Aspesi, chi erano le persone con le quali aveva delle affinità?
Molti industriali che sono stati pesantemente danneggiati dall'avvento degli stilisti. E quella parte di clientela che conosce i valori del prodotto e del risparmio.

Esiste oggi un Paolo Boggi operante sul mercato? E un nuovo Sean Blazer?
Gli argomenti che ho trattato sono sempre stati condivisi da molti giornalisti e scrittori, i quali però non ne hanno mai potuto parlare perché condizionati dagli editori. A questo proposito ricordo un articolo di Giorgio Bocca che deplorava il fatto che non si potesse criticare il mondo della moda perché arrivavano subito minacce di taglio della pubblicità. Sono certo che, con questa crisi e con i necessari cambi di abitudine, questi argomenti dilagheranno.

Nel secondo libro, ‘Un Abito da Leggere’, quando parla di tessuti, colori, accostamenti, si percepisce il suo gusto e la sua conoscenza. Per non dire degli aneddoti: penso ai 20 mq di tessuto per famiglia che Ghandi autorizzava a produrre e che garantivano una sussistenza dignitosa, o anche alla cravatta realizzata con il tessuto destinato ai grembiulini per bambini. Le é rimasto qualche scritto nel cassetto, ne scriverà ancora, oppure é un capitolo chiuso?
Non è da escludere che scriva ancora di abbigliamento e tessile in Italia, soprattutto facendo rilevare come il vestire in Italia sia esattamente lo specchio di un popolo che affida all'apparenza la propria reputazione, confondendo l'apparire con l'essere.

Cos’ha pensato quando ha letto ‘No Logo’ di Naomi Klein?
Mi ha fatto riflettere sul fatto che molti mali del mondo li creiamo noi, caricando i prodotti di un’immaterialità che è devastante. Il prodotto  non serve più ad assolvere a un fabbisogno, ma crea differenze sociali che aprono la strada a speculatori e sacerdoti dell'immagine.

Leggendo il programma di "Milano Fashion City" parrebbe che le polemiche del febbraio scorso, generate dalle richieste di Anna Wintour, siano solo un ricordo. Unità ritrovata o marketing?
SOLO Marketing. E conflitti d'interesse.





ON A SIDE NOTE

G.E.P.I.
Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali.
Era una finanziaria pubblica a capitale misto nata nel 1971 il cui compito istituzionale era il risanamento di aziende private in difficoltà. In teoria. In pratica l'attività si é tramutata spesso  in puro assistenzialismo. Frequenti gli interventi nel settore tessile, sebbene la vicenda più nota riguardi lo spropositato finanziamento concesso a Innocenti e Maserati all'epoca gestite da Alejandro De Tomaso. Storie del secolo scorso, ma sempre attuali.


Giorgio Bocca
L'articolo a cui si fa riferimento é intitolato 'L'anima del commercio' e fa parte del libro 'Il padrone in redazione' (Sperling & Kupfer, 1989). Si parla di giornalisti e di mutazioni nel mondo dell'informazione in seguito all’avvento di massicci investimenti pubblicitari.  Il capitolo in questione é particolarmente efficace nell'elencare le differenze tra giornalisti ante e post 'grande svolta spettacolar-pubblicitaria'. Sorprendente annotare le similitudini con l'attualità. Meglio, nulla é cambiato se non per un singolo dato: l'Italia non é più il quinto Paese più industrializzato al mondo. Che esista una connessione?



Un Abito da Leggere
Franco Angeli Editore - 2006
Una bellissima autobiografia che alterna con ritmo incalzante momenti privati e vita professionale. Capitoli brevi, incisivi, sarcastici, amari, dissacranti.
Tra le molte vicende, 'Un Abito Da Leggere' svela l'identità di Sean Blazer.
Serve una ristampa.



Paolo Boggi, a destra, insieme al saxofonista romano Stefano di Battista. Boggi é un grande appassionato di musica jazz, tanto da aver organizzato tre edizioni del festival 'Elba Jazz' di cui ricorda: "Era un progetto grandioso che avrebbe lanciato Marciana Marina, un minuscolo paesino dell'Isola, a livelli europei. Purtroppo i politici e i corti di mente mi hanno costretto a smettere, rinunciando a capitali e progetti".
I progetti a cui Boggi si riferisce sono Elba Jazz Contest per scoprire nuovi talenti e soprattutto Elba Jazz Kids Orchesta, una big band composta da bambini di età compresa tra 6 e 14 anni.


***



More than three years before 'No Logo', Sean Blazer wrote 'Merchants of Fashion' (Designers On Trial), a book where he details the misleading beliefs arising from brand-obsession behaviours, advertising's tricks, the crisis of the textile industry and the 'Chinese' problem before everybody thought there was one. Sean Blazer was the nom de plume of Paolo Boggi, owner of the successful clothing store chain bearing the same name. Unlike 'No Logo', 'Merchants of Fashion' didn't reach the mass market, but time proved him right and now this book is a textbook (see Made In Italy. A controversial history). We met the author right after the publication of his latest book 'The Poor With Luxury Brands. Compulsory Luxury And The Return To The Inherent Value' and the first thing he said was:

First of all, I think a reflection about fashion and the textile industry can be useful. I'm convinced that a developing Country, in order to compete with other Countries, cannot consider the textile industry as a driving force. Or should be let to the private sector at least. On the contrary, starting from the 70’s, in Italy the public sector poured huge resources into textiles, opening factories throughout the Country and later saving them from bankruptcy through the infamous G.E.P.I. 

We got a huge public debt, that is still the greatest national problem, recurring devaluations allowed us to repay debt with a discount and to practice unfair competition towards other Countries. China was not a problem. Not yet. For years, international buyers came, tempted by the weak Lira and brought the Italian fashion all over the world. 

In this bedlam situation the fashion designers flourished; in a Country where creativity reigns both the good designers and the phonies got center stage thanks to massive advertisements. Something changed with the Euro but we kept on thinking that fashion was an Italian entitlement. 

Then China, big retailers, and most important, the 2007 crisis revealed what was wrong within the system. In the last couple of years we saw an increasing amount of bankruptcies in this sector, both for small and large companies. My writings were a cry for help from an insider. A lament for the lack of culture and informations among consumers and society at large.

What kind of reactions followed 'Merchants Of Fashion' (Lubrina Editore, 1997)?
Favorable reactions from those with an open mind.

Why the pseudonym?
It was necessary because I was an insider digging dirt and showing the fashion designer's delusions of grandeur.

Actually your first publishing venture was the paperback edition of the Italian Constitution. How you came up with the idea?
It was a gift for my customers: even if just one single client had benefited from it, I would consider it a success. I wondered how many Italians had ever read, or seen, the Constitution. It was a very bad scenario: tax evasions, family-run and fragmented trade. Fake cultural rules required people to wear a luxury brand in order to feel normal. The misinformation of the Italians is legendary and it makes them vulnerable to the underworld and the power of Church. Over the years both domestic and foreign press had praised my idea. The Constitution was even required by some political parties and a few schools. Go figure.

You decided to reprint it at the end of your latest book 'Poveri Con La Griffe' (The Poors With Luxury Brands)but the feedback has not been the same.
No, it couldn't have been. I'm no longer in charge of the Boggi clothing chain. Also because our society is in bad shape. Look at the political swamp we are in.

Sign of the time.
It was in the press: a bunch of kids stealing an Indian girl's savings in order to go shopping for fashion items. I don't think it's kids' fault. It's the fault of those who sell the dream of fashion. This is a piece of news we need to think about: it's mandatory to escape this frame of mind that lead society to think happiness is up for sale. Commit a crime to buy luxury items? By the way, items not even worth that kind of money. It was all hype from controllable press and dummy intellectuals.
Millions of families without a single book in their house but a stack of bills signed in order to buy luxury goods. What kind of society we live in? You can't rape customers. You can't make them believe: fashion first and then all the rest. That's why I keep on going about the fashion-oriented society. Fashion should be criticized even if prices were affordable. An item or a suit can be rewarding but cannot become our life. Escape from la-la land and If you really need to dream go after some noble aspirations.

"Integrity of the human being: five senses (soul included)” is a great aphorism.
My belief is: the soul is the intelligence. It can be developed, it can grows. The powers that be - and religion - want you numb and dumb.

In your book you name Alberto Aspesi. Were there other people you had affinities with?
Many entrepreneurs heavily damaged by the fashion designers. Also the customers with an understanding of the real value of things.

Is there a new Paolo Boggi out there on the retail market? And a new Sean Blazer?
The topics I have dealt with have been shared by many journalists and writers. But because of their publishers, it was a dead end street. Actually I remember an article by Italian journalist Giorgio Bocca who reported that no one could criticize the fashion system without risking a cut in advertising. Nevertheless I am sure that thanks to the ongoing crisis, and the consequential change of habits, these issues will be all over.

In your second book, 'Un Abito Da Leggere' when you wrote about fabrics, colors and advices we perceive your good taste and expertise. Not to mention the anecdotes: the 20 square meters of fabric each family in India was authorized to produce; a Gandhi decision that allowed the Indians a dignified existence. Or the tie made a the fabric in fact produced for children aprons. Are you going to write some more or is it done & dusted?
I think I'll write some more about clothing and the textile industry in Italy. I want to point out how dressing up in Italy is mirroring our society. Brand-oriented instead of human being-oriented.

What was your reaction after Naomi Klein’s 'No Logo' came out?
It made me think that we create all the evil in the world. We give a product a quality that is not there. The product doesn't fulfill a need. Instead it creates social differences that open up the way for speculators and trend setters.

Looking at the 'Milan Fashion City' program, it seems the last February's chaos (thanks to Anne Wintour's demands) is long forgotten. Everything is back to normal or is it just a marketing plan.
ONLY marketing. And conflict of interests.




ON A SIDE NOTE

G.E.P.I.
Society for Industrial Administration and Investments.
It was a mixed-capital public holding founded in 1971 whose task was to manage and to restructure private companies in bad shape. In theory. Actually it was welfare. The textile industry was a favorite, although the best known story was about  the huge funding received by Innocenti and Maserati at the time managed by Alejandro De Tomaso. Stories from the last century that still sound fresh.

GIORGIO BOCCA
The article’s title is 'The soul of the Trade' and is part of the book 'The owner at the newspaper HQ' (Sperling & Kupfer, 1989). Bocca wrote about journalists and media transformations due to the huge marketing budgets poured to mass media. Then he explains the differences between journalists who adapt to the new religion (advertising first and foremost) and those who don't. Still up to date. In fact, nothing has changed: all the facts are true today except for one little detail: Italy is no longer the fifth most industrialized country in the world. Is there any connection?


Un Abito da Leggere
Franco Angeli Editore - 2006
A wonderful and fast-paced autobiography. The author share private moments and professional life. Chapters are short and the writing is harsh, ironic/sarcastic, bitter and even flippant.
Among other things, the book reveals the true identity of Sean Blazer.
A new edition is much needed.


Paolo Boggi (right) with the Italian sax player/band leader Stefano di Battista. Boggi is a big fan of jazz music. He was the promoter of three editions of the 'Elba Jazz' festival, about which he says: "It was a big project that would have launched Marciana Marina, a tiny village on the Elba island, under the spotlight. Unfortunately local politicians and shortsighted people forced me to quit and doing so they gave up funds and projects."

The projects were 'Elba Jazz Contest', to discover new talents, and the 'Elba Jazz Kids Orchesta', a big band composed of kids between ages 6 and 14.