{ENGLISH TEXT BELOW}
TEXT: Milo Bandini & Irma Vivaldi
PICS: Gianluca Colombo (The Zaffaroni
Collection)
DISTRETTI D’ITALIA: PARABIAGO E DINTORNI.
SE A PARABIAGO SI FANNO LE SCARPE PIÙ BELLE DEL MONDO,
ALLORA QUELLA DI ERMINIO ZAFFARONI É
LA PIÙ BELLA COLLEZIONE DI SCARPE
AL MONDO
Classe ’36, ex industriale, malato
di cuore e di scarpe. Di cuore perché si é lasciato due infarti alle spalle; di
scarpe perché ne rischierebbe volentieri un terzo pur di mettere le mani su un
pezzo particolarmente prezioso. Erminio Zaffaroni é la memoria di un distretto
che si sta rinnovando, pur tra le difficoltà di una situazione economica
generale ancora critica. Un distretto che non ha ancora lasciato una traccia
scritta della sua storia: i ricordi di Erminio Zaffaroni riportano alla luce
fatti e personaggi a torto dimenticati.
UN MILIARDARIO COL CAPPOTTO CAMMELLO
Scarpe… Si può dire
che sono cresciuto in mezzo alle scarpe. Dopo la guerra, a Cerro Maggiore,
quasi in ogni casa si lavorava per produrle. Si faceva il doppio e anche il
triplo lavoro. Alle cinque e mezza finivi di lavorare in un posto e iniziavi in
un altro. Dopo cena un altro ancora… sabato, domenica…pur di costruirsi la casa
e guadagnare qualcosa.
Io ho iniziato,
come tanti altri ragazzi allora, come apprendista. Facevo i tacchi (i "cichiti" li chiamavamo) nel
calzaturificio dove lavorava mio padre. E poi, la domenica, con il nostro
amico, Giuseppe Calini e mio fratello maggiore Carlo, che lavorava in proprio,
passavamo in rassegna le pelli che Carlo comperava di seconda e terza scelta,
per cercare i pezzi che si potevano recuperare per fodere o tomaie.
A 18 anni sono
andato a lavorare da Carlo, al calzaturificio Alfiere, che ai tempi era il più
grande di Cerro con 120 addetti. Le scarpe che si producevano non erano belle,
ma funzionali. Dopo qualche anno, in società con mio cognato Claudio, ho deciso
di rilevare anch'io un piccolo calzaturificio da un certo Sig. Colombo, che era
morto in un incidente di macchina. Era un laboratorio artigianale a Cerro
Maggiore e l'ho ribattezzato Calzaturificio Almiral.
Lavoravamo giorno e
notte per guadagnare qualche soldo.
Ho iniziato ad andare in giro a vendere con una giardinetta sgangherata
e un cappotto ricavato girando quello appartenuto a mio fratello: era cammello
e a me pareva di essere un miliardario…
Claudio, il mio
socio, però si era ammalato per il benzolo, una sostanza tossica che ai tempi
si usava in produzione. Era stato parecchio tempo in ospedale, lasciandomi solo
a lavorare e così ho dovuto chiudere. Però proprio a quei tempi ha iniziato a
emergere la passione per la raccolta delle scarpe e ho cominciato a conservare
qualche pezzo dei campionari.
LA FLAVIA
Dopo aver chiuso ho
fatto il rappresentante per conto di un commerciante di cuoio, Monticelli, poi
del Calzaturificio Gallaratese.
Per quest'ultimo
andavo a vendere le scarpe nei migliori negozi in tutta Italia. Piralli, il
titolare, era un innovatore, faceva calzature all'avanguardia, sperimentava. Ad
esempio è stato fra i primi a far scarpe di plastica (le chiamavano "Sky"), però, per essere
sincero, a me non piacevano e preferivo i modelli in pelle.
Per Piralli
l'immagine era il mio biglietto da visita e così, prima di mandarmi in giro, mi
ha fatto rifare il guardaroba: 6 camicie, il vestito, le scarpe, la macchina ("la
macchina, qual'è la più bella?" si è chiesto "la Flavia!" ha deciso e mi ha dato
la Flavia. Un razzo!). Mi ha detto: "Tu a Bologna vai al Jolly Hotel". Quando sono arrivato,
pensavo di aver sbagliato posto.
Che eleganza… Sono arrivato con la valigia di
cartone e ho capito che mi toccava prendere la Samsonite!
Sia Monticelli, che
Piralli mi pagavano un fisso modesto al mese più le provvigioni … e cosa non
facevo per le provvigioni… Mi ricorderò sempre ad esempio che per andare da un
cliente in centro a Venezia, non prendevo il battello. Toglievo la cintura dei
pantaloni, prendevo le due valigie del campionario, le legavo con la cintura,
me le mettevo a tracolla e via, su e giù per i ponti a piedi. Il primo anno a Natale con le
provvigioni ho preso il televisore e la macchina per cucire a mia moglie.
LA CASA DEL GIAGUARO
Dopo qualche anno è stato proprio Piralli a suggerirmi di tornare alla produzione e così ho acquisito una conceria (la BiZeta - acronimo di Bedin, il mio socio e Zaffaroni) per fare tomaie. Ero fornitore di alcune aziende tedesche, come Freudenberg e Salamander e all'inizio, '72 - '73, compravano proprio bene: le aziende tedesche facevano 50.000 paia di scarpe al giorno!
C'è stato un lungo
periodo in cui si lavorava tanto e in quegli anni c'erano più di cento concerie
nella zona. Ora ce ne saranno una decina o anche meno. Sono rimaste le
principali, Conceria Stefania, Sicerp, Conceria Giovanni Gaiera … è rimasto poco o niente…
Castano Primo, Milan
|
Per vendere bene le
pelli, bisognava inventarsi ogni giorno un modello diverso. Per variare le
colorazioni era stato determinante l'intervento della Conceria Stefania, che
aveva introdotto l'uso del bottalino (che poi avevo comperato anch'io).
Prima
in conceria si usava solo il bottale grosso, con il quale si lavoravano un
centinaio di pelli per volta, anche perché gli unici colori che si facevano
erano il marrone e il nero. Col bottalino invece si potevano lavorare anche
piccoli quantitativi per fare specifici colori (non se ne lavoravano tante, altrimenti
restavano invendute) e da lì si è potuta scatenare la creatività, perché così
ogni stilista poteva chiedere le pelli nello specifico colore che desiderava.
E poi c’erano le
lavorazioni e i disegni. Io ero molto creativo e ogni giorno ne inventavo di
nuovi. Prendevo ispirazione dai quadri (Picasso, Botticelli…) e andavo a fare
le serigrafie a Gambolò (Pavia), a Como… Facevo eseguire dei ricami sulle pelli
da Larsoli di Gallarate; facevo fare le plissettature come quelle dei tessuti…
usavo trucchi "da imbianchino", appendevo le pelli e poi le disegnavo col rullo oppure le facevo
decorare attraverso una smerigliatura fatta a mano.
Per la fiera di Parigi del
’78 avevo fatto delle pelli con rivestimento in lamina d'oro, anche in versione
gessato (con le righe smerigliate a mano). Tutti mi davano del matto, specie i
miei soci. E invece sono andate a ruba. E poi un’altra idea è stata fare le
pelli stampate a giaguaro. Quell'idea l'ho copiata, ma la mia casa l'ho
comprata proprio coi guadagni realizzati quando ho fatto l'articolo del
giaguaro!
Ancora oggi dei clienti di allora vengono a trovarmi e mi
dicono "Zaffaroni, lei non doveva chiudere!"
LA COLLEZIONE ZAFFARONI
Vendevo le pelli ai
più importanti calzaturifici: andavo a Parabiago, a Vigevano, da Magli,
Ferragamo, Casadei, Aldrovandi. Quando consegnavo, vedevo che buttavano i
campionari.
Lasciavano marcire le scarpe degli anni precedenti. E io le
raccoglievo. Alcuni ti dicevano "sì, sì, portale via" se erano quelle della
stagione precedente. Con altri invece ogni volta era una lotta, sembrava che
gliele rubavi.
Non ero il solo con
questa passione. Fra i clienti avevo il Calzaturificio Gino Castelli, il cui
titolare era innamorato più di me delle scarpe, tanto che le
teneva in salotto dentro vetrinette illuminate. Quando andavo a trovarlo,
apriva una bottiglia di Barbera, e mi raccontava le sue storie, di quando aveva
cominciato a lavorare... Lui aveva 65 anni, io allora ne avevo una quarantina e
stavamo lì ore a parlare di scarpe.
Ho continuato a
raccogliere calzature e continuo ancora oggi. Ma non solo quelle. Ho raccolto
forme in legno, materiali di lavoro, riviste, campioni di pelli…
Una discreta
parte della mia collezione, tra cui diversi pezzi disegnati da Deodato, me lo
sono procurata seguendo lo stocchista Galli, che ritirava i materiali dei
calzaturifici che chiudevano. Lui comprava tutte le rimanenze e poi rivendeva.
Oltre alle scarpe e ai materiali di lavorazione, anche tomaie, pelli avanzate e
campionari.
Andare con Galli era un'avventura… finivamo sempre in mezzo alla
polvere, a depositi abbandonati. Siamo andati a ritirare i materiali dopo la
chiusura della Waltea, del calzaturificio Ferrario.... Lui ritirava tutto ma io
prendevo le scarpe: se ce n'erano di belle le lavavo, le lucidavo e le
riportavo in vita.
IL CALZATURIFICIO TITANO
Tra i clienti, vendevo le pelli per le fodere al calzaturificio Titano, che per me era il migliore di tutti. Io conoscevo da tanti anni il proprietario Adriano Sciuccati, perché da lui aveva lavorato mio fratello Remo e io da ragazzo andavo a lavare la macchina a Paolo Sciuccati, il padre, che era stato presidente della banda di Cerro.
Portavo le pelli in
cantina dove teneva tutte le scarpe di campionario abbandonate e avrei voluto
prenderle tutte, tanto erano belle.
Adriano era un tipo generoso, forse fin
troppo, e ogni tanto mi lasciava portar via qualcosa. Ma diversi pezzi della
mia collezione mi sono arrivati per un’altra strada. Quando il Titano ha chiuso
per una serie di eventi sfortunati, a metà degli anni Settanta, tutta la
giacenza del calzaturificio l'ha ritirata il mio amico Galli, lo stocchista.
Un
giorno sono andato a trovarlo e nel solaio ho riconosciuto le calzature. "Ma
hai qui tutte le scarpe dello Sciuccati!?” Non ci potevo credere! "Le vuoi?” mi ha chiesto “Vieni a
prenderle".
Allora sono andato con mio figlio Matteo e ho portato via tutte quelle che ho potuto recuperare. A sacchi.
Allora sono andato con mio figlio Matteo e ho portato via tutte quelle che ho potuto recuperare. A sacchi.
Per le sue
creazioni il Calzaturificio Titano nel 1962 vinse addirittura l’Oscar della
Calzatura. Secondo
me faceva delle scarpe di qualità superiore. Aveva una maestranza diversa dagli
altri, aveva fior di operai che sapevano fare lavorazioni molto particolari e
poi Adriano Sciuccati era una persona davvero fantasiosa e innovativa.
SALVATORE DEODATO
Al calzaturificio Titano
avevano come modellista Armando Alberti, ma già negli anni Sessanta, per creare
i campionari, Sciuccati aveva iniziato a chiamare dalle Marche anche lo
stilista Salvatore Deodato.
Deodato ha portato
una ventata di novità e ha dato una svolta alla Moda e alla produzione in tutto
il distretto. Persino eccessiva per i tempi, perché le scarpe Titano disegnate
da Deodato erano fatte molto bene, ma troppo all'avanguardia, per cui Sciuccati
faceva fatica a vendere e talvolta era costretto anche a vendere sottocosto.
Calzaturificio Titano
Foto by Gianluca Colombo
|
Ma che scarpe erano! Lavorate bene, ottimo il materiale. E poi le colorazioni… Grazie alle nuove tecniche di concia che avevamo sviluppato, i modellisti avevano la possibilità di sbizzarrirsi giocando coi colori.
Left to right: Manolo Blahník with a Titano model by Deodato; master artisan Pierino Proverbio and the late Erminio Zaffaroni. |
È il primo che ha sfruttato
fino in fondo le nuove possibilità offerte dalla tecnologia è stato proprio
Salvatore Deodato col calzaturificio Titano. Andrea Pfister, Manolo Blahnik e
gli altri artisti della calzatura e del colore sono venuti dopo... Ecco, a
proposito di Manolo Blahnik …
Quando nel 2009 è venuto a Vigevano per ricevere la “Scarpetta D’Oro” è venuto
a visitare la mia esposizione al museo e ha molto ammirato lo stile di Deodato.
Ha preso in mano una sua scarpa e si è fatto fotografare con me!
Sempre al museo di Vigevano,
nel 2006, è stata organizzata un'esposizione dei modelli di Vivienne
Westwood
nelle scuderie di Palazzo Ducale.
Era un'esposizione molto bella: fra gli
archi, le sue calzature erano esposte come dei fiori, su dei piattelli col
gambo in ferro. Ho visitato con lei l'esposizione e si é dimostrata una signora
molto alla mano.
Erminio Zaffaroni and Vivienne Westwood At the grand opening of 'Shoes 1973 - 2006' | Second Stable | Palazzo Ducale, Vigevano. |
Notavi la sua passione: spiegava la storia delle sue scarpe, com'erano fatte e di che periodo. Anche lei ha apprezzato particolarmente i modelli di Deodato. In fondo, modelli che lei faceva nel 1978, Deodato li aveva già disegnati nel 1972.
Del rapporto fra
Parabiago e Deodato ho conservato anche qualche immagine pubblicitaria. Nella mia
collezione c’è ad esempio una pagina della campagna stampa del 1971 realizzata
da Oliviero Toscani per il calzaturificio Alfiere, quello di mio fratello.
In effetti Deodato non ha lavorato solo col calzaturificio Titano, ma anche con altri. Era richiesto da tutti perché era innovativo. Quando ha lavorato per mio fratello, mi ricordo che andava avanti fino a notte fonda a disegnare i campionari.
La prima volta che
l’ho incontrato lavoravo ancora da mio fratello. Era un tipo particolare…
L'ultima volta l'ho visto in fiera a Bologna nel 1997.
Io esponevo le mie pelli
e gli ho detto di venire al mio stand a vedere una cosa. Avevo portato anche
alcune sue scarpe che avevo messo in mostra. A vederle si è commosso..."Ti
faccio un regalo" mi ha detto. Ha strappato un foglio e si è messo a disegnare. Mi ha
fatto il quadro che ho ancora adesso in soggiorno: ha disegnato una scarpa
colorata, un cuore e poi la dedica.
MR. PRESIDENT (JOHN FITZGERALD KENNEDY)
Conoscevo i proprietari del
calzaturificio Dawos, perché a loro vendevo le mie pelli.
Prima avevo lavorato col padre, Celestino Grassi, poi col figlio Luigi, che mi ricordo ancora
quando, da ragazzino, andava a
fare le consegne con la Lambretta.
Avevano un bel
laboratorio, hanno servito tanti giocatori del Milan: Salvadori, Chiarugi ...
Avevano creato il marchio “W.J. Dawos” e presentavano le scarpe come se fossero
inglesi, ma erano italianissime, le facevano a San Vittore Olona.
Per anni, chi
passava davanti al loro negozio sulla statale del Sempione ha potuto vedere il
cartello che diceva 'Dawos, l’artigiano dei Kennedy'. Infatti quando a
Celestino Grassi era arrivato direttamente dalla Casa Bianca l'ordine per
produrre un paio di scarpe al presidente John Kennedy, all’inizio degli anni
Sessanta, ne aveva scritto anche la stampa locale.
Nel negozio i Grassi
tenevano il prototipo del modello e anche copia degli articoli di giornale del
tempo. Quando Grassi ha chiuso la ditta, io ho recuperato quello che era
avanzato: campioni, copie degli articoli di giornale, pelli, suole, anche il
quadro con la bandiera inglese e il logo Barrow’s, che era l’altro marchio
sempre di “tono” inglese, che avevano creato nel 1968 per calzature a punta,
molto in voga negli anni Settanta in certi ambienti milanesi.
GLI ARTISTI DEL DISTRETTO
Nella collezione ho
pezzi eccezionali, opera di calzaturifici che oggi non esistono più. E nessuno
si ricorda del loro nome, perché non hanno mai fatto promozione. Mancanza di
impegno o di possibilità o forse perché sono rimasti nell’ombra a produrre per
altri nomi più famosi.
Il calzaturificio Vibelsport, ad
esempio, era di proprietà di mio fratello Remo in società con tale Vibelli.
Lavoravano come terzisti come una buona parte dei calzaturifici del distretto
parabiaghese. Scarpe di alta qualità: tra gli altri producevano per la
Baker-Benjes, un marchio americano di calzature maschili di classe
(licenziatario di Ralph Lauren. NdR). Loro hanno realizzato le scarpe per il
cestista Shaquille O'Neal - numero 59! - e hanno prodotto calzature che poi ha
acquistato Michael Jackson.
A Parabiago e nei
comuni limitrofi si è sviluppata una maestranza in grado di eseguire
lavorazioni che, secondo me, in nessun’altra parte del mondo sono capaci di
fare. Per questo Blahnik, Louboutin e i più importanti stilisti di calzature
vengono a produrre qui. Perché le scarpe non le fanno le macchine, non sono
tutte uguali.
Guarda queste scarpe: sono del calzaturificio del mio amico Pierino Proverbio, un artigiano che tuttora produce calzature di altissimo livello. C’è un’etichetta che riporta il nome di chi le ha fatte; chi era l’orlatrice; chi il fresatore dei tacchi. Scarpe così non sarebbe riuscito a farle chiunque, anzi, solo quegli artigiani erano capaci di tanto. Chi sceglie queste scarpe vede che sono bellissime, ma forse nemmeno si rende conto di tutto il lavoro che c’è dietro...
Italian districts: Parabiago
and vicinity.
If the shoes made in Parabiago
are the most beautiful in the world, then Erminio Zaffaroni’s collection is
THE BEST SHOE COLLECTION IN THE
WORLD
TEXT: Milo Bandini & Raffaella Dotti
PICS: Gianluca Colombo (The Zaffaroni Collection)
THE BILLIONAIRE WITH
THE CAMEL COAT
Shoes ... I grew up
surrounded by shoes. After the WW2, in Cerro Maggiore, almost every house was a
shoe lab. 9 to 5 and then a second shift somewhere else. Third shift after dinner
... Saturday, Sunday ... whatever was necessary in order to build your own
house and save some money.
Like many other kids I
started as an apprentice. I made the heels (the "cichiti" we called
them) in the shoe factory where my father worked. On Sundays, with my friend
Giuseppe Calini and my oldest
brother Carlo, who was self-employed, we used to browse b-grade skins to look for pieces that could become uppers or linings.
When I was 18 year old
I went to work at the Alfiere factory owned by my brother Carlo which was, at
the time, the biggest shoemaker in Cerro Maggiore with 120 people employed. The
shoes we produced were not beautiful, just functional. After a few years I
decided to start my own company with my brother in law Claudio. We acquired a
small shoe factory, whose owner Mr. Colombo, had died in a car crash. It was a
workshop in Cerro Maggiore and I renamed it Almiral.
We worked night and day
to make ends meet. I used to travel as a salesman in a lemon station-wagon and
a coat turned inside-out which was my brother’s. It was a camel coat and I felt
like a billionaire.
Unfortunately, my
partner got sick because of the benzene, a toxic
substance used at the time. He was forced to stay in bed for long leaving me
alone at the factory. I couldn’t make it by myself and I had to close the lab
down.
It started then: my passion for shoes
started with my own samples.
THE LANCIA FLAVIA
Right after I closed, I
first went to work for a leather dealer called Monticelli and then for the
Calzaturificio Gallaratese as a salesman.
For the Gallaratese I
went to sell shoes in the best stores all over Italy. The owner, Mr. Piralli,
was an innovator. For instance, he was among the first ones to make plastic
shoes (he called them "Sky"), but to be honest, I did not like them
and I stayed true to leather shoes.
Mr. Piralli told me my
appearance was my business card, and so, before sending me around, he made me
redo my wardrobe. 6 brand new shirts, new clothes, shoes and the car (‘The
car!. Which one is the best one?’ - he asked – ‘Well, the Flavia of course!’ And so he gave me the
Flavia. Lightning fast!). He said: ‘When in Bologna you go to the Jolly
Hotel’.
When I got there I thought I had the wrong address. The place was too elegant.
I had brought my cardboard suitcase with me and
I quickly realized that I had to buy a Samsonite!
Both Monticelli and
Piralli paid me fixed pay plus commission ... you have no idea for what I did
to get the commissions ... I remember that time in Venice…to go downtown I
skipped the boat, removed my trouser belt, tied up the suitcases to it, put the
belt on my shoulders and then up and down the bridges on foot. Come Christmas I
bought a TV set and a sewing machine to my wife. Commissions, you know …
I’M BZ (WELL, HALF
OF IT)
After a few years Mr.
Piralli suggested me to go back to production and so I bought a tannery to make
uppers and called it BZ, an acronym for Bedin, my partner, and Zaffaroni. I was
a supplier for German companies such as Freudenberg and Salamander. We’re talking
about '72-'73, and it was a sound business. Germans did 50,000 pair of shoes a
day!
There was no shortage
of work. I remember something like 100 leather tanneries in this area. Only the
biggest survived through the years, say ten, like Conceria Stefania, Sicerp,
Conceria Giovanni Gaiera … just a fraction of the way it was…
In order to sell, it
was necessary to come up with new leather design every day. The key factor was
the introduction of the small drum by the Conceria Stefania (later I bought it
myself). It allowed us to use colours! Before
that, only the big drum was used to work on 100 skins simultaneously. After
all, the only colours requested were brown and black. The small drum permitted
to work small quantities and many colours. The new tanning process allowed the
designers to let loose the creativity.
I did my part to come
up with new designs. I took inspiration from paintings (Picasso, Botticelli)
and I went to produce silk screens in Gambolò (Pavia), Como … Embroidery works
were done by Mr. Larsoli in Gallarate; pleating works on leather like it’s made
on cloths … I hanged the skins and then drew them with a roll; I did hand-made
decorations with emery paper. In Paris ‘78, I went for the leather upholstered
in gold leaf, also in pinstripes (again with the emery paper). They told me I
was crazy, especially by my partners, but actually they sold like
hotcakes.
The jaguar skin was
another story. I copied from someone I don’t remember, but the jaguar skin
bought my house! Even today, when my old customers come to see me they say that
I shouldn’t have quit.
THE ZAFFARONI
COLLECTION
I sold the skins to
leader shoe factories: I went to Parabiago, to Vigevano. I went to Magli,
Ferragamo, Casadei, Aldrovandi. They used to throw away the samples. Or, even
worse, they let the old shoes rotting out. And I gathered them. Some will say
"yes, oh yes, take them”; others thought different. Every time it was a
struggle, like you were stealing from them.
I wasn’t the only one
shoe crazed. Among my clients, Mr. Gino, the owner of the shoe factory Gino Castelli, was even madder about shoes. He kept them in lit glass cabinets in
the living room. When I was visiting him, he usually opened a bottle of
Barbera, and he told me stories. He was 65 years old, I was about forty and we
spent hours talking about shoes.
I keep on collecting shoes but not only that. I collect wooden
lasts, small tools, magazines, skin samples ... I got a good chunk of my
collection, including several pieces designed by Deodato, from Mr. Galli, a stockist who collects tools and materials from shoemakers out
of business. Always an adventure with Mr. Galli. We always ended up in dusty
places, abandoned warehouses. We went to collect stuff after the closing down of Waltea and Ferrario .... he got everything but the
shoes. If there were decent ones, I washed, and
polished them, bringing them back to life.
THE SHOE FACTORY
CALLED TITANO
Titano was one of my
customers. The best of them all in my book. I sold them hides for the insole
linings. I knew the owner, Adriano Sciuccati, because my brother Remo used to
work for him. Also when I was a kid I used to wash Paolo’s car, Adriano
Sciuccati’s father.
They kept my hides in the cellar along
with the abandoned samples. I would have liked to take them all since they were
gorgeous. Adriano was a generous man, maybe too much, and sometimes he let me
took something. But several pieces of my Titano collection have come my way
from a different route. In the mid-seventies, when the Titano closed doors, due
to a series of unfortunate events, my friend Galli, the guy I told you before,
got the entire stock of footwear and gears. One day I went to his place and I
saw the shoes. He kept them in the attic. "Have you got all the
Sciuccati’s shoes?” I asked him. I could not believe my eyes! "If you want them, come and take them”. So, with the help of
my son Matteo, I went there and I took them all. Bags of them.
For its creations
Titano won a Footwear Oscar in 1962. In my opinion they made shoes of superior
quality. Great workmanship too. Adriano Sciuccati was a truly creative man.
SALVATORE DEODATO
Titano’s modelist was
Armando Alberti, but starting from the sixties, Sciuccati had begun to hire
designer Salvatore Deodato from the Marche region.
Deodato brought a
breath of fresh air that lead to a dramatic twist throughout the district.
Titano’s Deodato were way ahead of its time and sometimes hard to sell so that
Sciuccati was forced to sell below cost.
Anyway, those were
marvelous shoes! Fantastic materials and great finishings. Not to mention the
colours ... With the new tanning process that we developed, the designers had
the chance to play with colours. And the first one who tried new paths was
Salvatore Deodato. Andrea Pfister, Manolo Blahník and other artists followed
suit... Talking about Manolo Blahník: he came to Vigevano in 2009 to be awarded
with the ”Scarpetta d’Oro” and he visited my exhibition at the museum. He was
stunned by Deodato’s style. He picked up this shoe and we took a picture
together.
Again at the Museum of
Vigevano, a Vivienne Westwood exhibition was held at the Palazzo Ducale’s
stables (2006). A lovely one: her shoes were displayed like flowers on metal
plates with iron stalks. At the opening I visited the exhibition with her and
she was charming and down to earth. That woman has passion: you could notice that by the way she explained the story
of each one of her shoes; how they were made and when ... She also loved
Deodato’s shoes. Basically, what she did in 1978, Deodato had done it in 1972.
I’ve got a Deodato
fixation, you know. In my collection I have this ad page from 1971 created for
my brother’s Alfiere. It’s Deodato, and the photographer is a very young Oliviero Toscani. Deodato got employed
by many in the district because he was an innovator. At Alfiere, I remember him
drawing late into the night …
The first time I met
him I was still working for my brother. He was … special. The last time we saw
each other was at a fair in Bologna in 1997. I had my hides spread around but I
also brought some of his shoes to be put on display. I told him to come to my
stand to see a thing. Let me tell you: he was moved.... "I’ll give you
a gift”
he said. He tore out a sheet of paper and he started to draw the drawing that
is now in my living room: a colour shoe, a heart and a personal message.
Signed.
MR. PRESIDENT
(J.F.K.)
The shoe factory Dawos
was a customer of mine. I had first made some works for Celestino Grassi, the
owner, and then for his son Luigi. I remember
Luigi as a delivery boy speeding around with the Lambretta.
They had a nice shoe
lab. Customer’s list included several players from A.C. Milan (Salvadori,
Chiarugi). They created the brand "W.J. Dawos" if it were from the U.K., but actually they were from San
Vittore Olona, Italy.
For years, those who
drove by their store, on the Sempione state highway, could see a projecting
sign reciting “Dawos, the craftsman of the Kennedy’s”. It was an event when
Celestino Grassi got a wire from the White House to produce a pair of shoes for
President John Fitzgerald Kennedy. The local press reported the news.
In the store they kept
the prototype model as well as the newspaper clippings. When Grassi closed down I
collected everything that was left: samples, leather skins, soles, even the
framed Union Jack Barrow’s logo, a side brand they created in 1968. Again it
was promoted as ‘from the U.K.’ and it was very popular among the milanese
upper class.
BEHIND THE SCENE
In my collection I have
extraordinary pieces coming from shoe makers that no longer exist. No one
remember their names because they never promoted themselves. Lack of commitment;
lack of ability, or maybe just because they stayed behind some big name.
Take my brother Remo
and his partner Mr. Vibelli for instance. The shoe factory was called Vibelsport: they produced very high quality footwear for others, like the American
brand Baker-Benjes (licensee for Ralph Lauren Footwear Inc.). They have made
leather shoes for the basketball player Shaquille O’Neal – number 59! I don’t
know the American size. Not to mention shoes later bought by Michael Jackson.
In the Parabiago
district you can still find hand-made craftsmanship carried out to perfection.
Quality no one else can match. That’s why Blahník, Louboutin and many, many
other designers produce their shoes here. Hand-made; each pair is unique!
Look at these shoes:
they are made by my childhood friend Pierino Proverbio, an artisan capable of the
highest quality. On these vintage shoes he put a label showing the names of the
people involved in production. A shoe ID, if you will. Who made the uppers, the
heels, the decorations … not everybody can make them, actually just a selected
few. Those who buy these shoes can appreciate how beautiful they are, and maybe
they don’t even have the slightest idea how much work it is …
Mr. Zaffaroni passed away March, 26 2011.
Mr. Zaffaroni passed away March, 26 2011.