Monday, January 31, 2011

CALZATURIFICIO DI VARESE'S VISUAL HISTORY

STORIA ILLUSTRATA DEL CALZATURIFICIO DI VARESE
di Irma Vivaldi



Calzaturificio Di Varese

1912 | Calzaturificio Di Varese


1913 | Calzaturificio Di Varese



1870 circaSantino Trolli e il figlio Luigi fondano a Varese la "Premiata Manifattura Tomaie Giunte", un piccolo laboratorio artigianale, nel quale per la prima volta vengono importate in Italia macchine per cucire automaticamente le tomaie.

1880. Grande successo all'Esposizione Internazionale di Melbourne.

1899. Nasce il “Calzaturificio di Varese”


Circa 1870Santino Trolli and his son Luigi create in Varese the "Premiata Manifattura Tomaie Giunte”, a small lab. They import for sewing uppers machines (first time in Italy).

1880. Great success at the International Exhibition in Melbourne.

1899. A new name: "Calzaturificio di Varese”



1914 | Calzaturificio Di Varese
Drawing by Leopoldo Metlicovitz

1915 | Calzaturificio Di Varese


Inizio Novecento. è fra i 5 stabilimenti italiani a produrre interamente a macchina, negli stabilimenti in via Milano. Con 50 macchine cucitrici la produzione media giornaliera è di 1.500 paia di scarpe.

Early Twentieth Century. The shoe factory in Via Milano is among the five Italian factories to produce machine-made shoes only. 50 sewing machines and an average daily production of 1,500 pairs of shoes.


1916 | Calzaturificio Di Varese

1916 | Calzaturificio Di Varese
Drawing by Marcello Dudovich



Prima Guerra Mondiale. il calzaturificio è precettato per fornire all'esercito italiano milioni di scarpe. Questo porta lo stabilimento a un grande sviluppo. 

World War I: the factory is enlisted to provide shoes to the Italian (literally millions of). A huge development follows.




1919 | Calzaturificio Di Varese

CA 1920 | Calzaturificio Di Varese
A Love Story

Primo dopoguerra. Apertura del primo negozio a insegna "Calzaturificio di Varese" in piazza Mercanti a Milano. Seguono negozi a Genova, a Bologna, a Torino e altre città. 

First Postwar period. Opening of the first store named "Calzaturificio di Varese" in Piazza Mercanti, Milan. Other openings follow in Genoa, Bologna, Turin and other cities.



1929 | Calzaturificio Di Varese

1929 | Calzaturificio Di Varese


Secondo dopoguerra. Si aprono altri 30 negozi. Il calzaturificio di Varese è fra i pionieri della distribuzione moderna, con una rete di oltre settanta negozi monomarca in Italia. 

1947-1949. Per tre anni sponsorizza la trasmissione radiofonica di Giovannino Guareschi, «Caccia ai ricordi» con protagonisti i personaggi allora popolarissimi di Giovannino e Margherita del «Corrierino delle famiglie».


Second postwar period. 30 new openings. The shoefactory in Varese is a leading pioneer of the modern distribution, with a network of more than seventy stores in Italy. 

1947-1949. Sponsor for the radio program «Caccia ai ricordi» by Giovannino Guareschi , starring popular characters of the time.


1949 | Calzaturificio Di Varese

1951 | Calzaturificio Di Varese

1960 | Calzaturificio Di Varese

1967 | Calzaturifico Di Varese for Mila Schon
Source: Vogue Italia

Anni Sessanta e settanta. Nuovi impianti produttivi in viale Belforte a Varese. La produzione si differenzia e si fanno anche borse. Il Calzaturificio di Varese partecipa a Carosello, con l'attrice Renée Longarini. Il Calzaturificio di Varese è la più grande organizzazione italiana nel settore calzaturiero: prodotte e vendute un milione di paia l'anno. 

Sixties and Seventies. Brand new factory opened in Varese, Viale Belfiore. Begins the hand-bags production. More money are invested in TV commercials. Di Varese is the biggest company in the Italian footwear industry: manufactured and sold a million pairs per year.


1970 | Calzaturificio Di Varese

1973 | Calzaturificio Di Varese

Anni Ottanta. Inizia il declino.

1982. Il pacchetto di maggioranza passa nelle mani del gruppo Benetton: il “Calzaturificio di Varese” deve lasciare Varese. Svenduto il magazzino, tutto trasferito a Montebelluna, 140 lavoratori senza lavoro e niente più scarpe classiche ed eleganti, ma casual e colorate. Basta anche col vecchio nome. Il marchio diventa “DiVarese”.

1998: “nel piano di consolidamento e di ottimizzazione di tutte le attività che fanno capo a Benetton” il marchio DiVarese viene ceduto alla Step dei fratelli Enzo e Vittorio Schillaci, per “il rilancio produttivo e commerciale di uno dei più conosciuti e tradizionali marchi italiani di calzature”.

2006: i due fratelli Schillaci riportano a Varese marchio e produzione in una nuova sede in Via Peschiera. Si torna allo stile classico, non più industriale, ma prodotto artigianalmente. 


Eighties. The decline.

1982. The majority ownership goes to Benetton group: the "Calzaturificio di Varese” has to leave Varese. Sold off the stock, production moved to Montebelluna (Treviso), 140 redundancies, no more classic and elegant shoes but casual and colorful. Also the name is dismissed. The brand becomes "DiVarese".

1998. As “part of the plan for consolidation and optimization of all the activities controlled by Benetton” and in order to “revive production and sales of one of the most famous and traditional Italian shoe brands” , the group sells the brand to Enzo e Vittorio Schillaci.

2006. The Schillaci brothers take back home in Varese both brand and production, in a new lab in Via Peschiera. It’s a return to the classical style, no longer industrial, but handmade.



CALZATURIFICIO
DI VARESE
I N D E X

Sunday, January 30, 2011

SUCKING IN THE SEVENTIES | FIORUCCI SHOES

HU... WHAT IS THIS?

FIORUCCI
WUNDERKAMMER | INTERNATIONAL FOOTWEAR MUSEUM OF VIGEVANO
Photograph: WOP

Sandalo Fiorucci conservato al Museo Internazionale della Calzatura di Vigevano. Ringraziamo Armando Pollini - direttore artistico - per la collaborazione/consulenza.

Fiorucci sandal kept at the Internation Footwear Museum of Vigevano. Thanks to Armando Pollini, museum's artistic director.


FIORUCCI
WUNDERKAMMER | INTERNATIONAL FOOTWEAR MUSEUM OF VIGEVANO
Photograph: WOP

FIORUCCI
WUNDERKAMMER | INTERNATIONAL FOOTWEAR MUSEUM OF VIGEVANO
Photograph: WOP

FIORUCCI
WUNDERKAMMER | INTERNATIONAL FOOTWEAR MUSEUM OF VIGEVANO
Photograph: WOP

2011 | Vigevano Footwear Museum director Armando Pollini & Elio Fiorucci
Source: Comune di Vigevano


1935 - 2015 | ELIO FIORUCCI
IN MEMORIAM

1970 | WHEN ELIO FIORUCCI BECAME FIORUCCI
MILAN, GALLERIA PASSARELLA

FIORUCCI DIFFUSIONE & TITANO
DESIGNED BY SALVATORE DEODATO




1974 - Fiorucci
Photo by A. Concari - Ufficio Pubblicità Fiorucci

IRENEBRINATION | NOTES ON ART, FASHION AND STYLE [LOT OF STYLE]




IRENEBRINATION é il blog della giornalista  freelance Anna Battista, (la potete leggere anche su Zoot Magazine e Dazed Digital) che ha raccolto l'appello per la Collezione Zaffaroni.  
G R A Z I E !!
IRENEBRINATION is Anna Battista's blog. She's a writer, freelance journalist (Zoot Magazine, Dazed Digital) who welcomed our appeal about the Zaffaroni Collection and  decided to write about it.
T H A N K  Y O U !!
[MB+IV] 

Thursday, January 27, 2011

1915-1918 | FOOTWEAR AT THE FOREFRONT [THE ARMY]

SCARPE IN PRIMA LINEA [L'ESERCITO]
di Irma Vivaldi



International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph: Irma Vivaldi

International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph by WOP

International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph by WO

International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph by WO


[English text below]


Con la storia del Calzaturificio Borri siamo arrivati alle soglie della Grande Guerra. Giuseppe Borri ne fu personalmente coinvolto essendo stato nominato Ispettore Generale delle calzature nazionali, dopo gli importanti riconoscimenti pubblici degli anni precedenti.

In poche altre occasioni è stata data un'attenzione governativa così alta alle calzature come durante il primo conflitto mondiale. Visto il ruolo ricoperto da Giuseppe Borri apriamo due parentesi su alcuni aspetti del mondo calzaturiero di quegli anni:

- le forniture calzaturiere all'esercito

- le calzature civili.

Nel maggio del 1915, in pieno fermento pre-bellico, un decreto reale istituì una commissione interministeriale, preceduta dal senatore marchese Cassis, consigliere di Stato, che si doveva occupare del grosso problema dell’approvvigionamento di calzature per un nuovo esercito e per la marina. Della commissione facevano parte rappresentanti del ministero della Guerra, della Marina e dell’Agricoltura, degli industriali conciatori e degli industriali calzaturieri. 

Scopo della commissione era identificare i possibili fornitori a livello nazionale per le calzature e le pelli (fu poi istituito l'obbligo per tutti i fabbricanti di produrre calzature militari) e creare un coordinamento nazionale fra questi fornitori per facilitare la produzione. L’altro principale filone di attività era la determinazione ed il controllo dei prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti.

Oltre ai limiti della capacità produttiva, numerosi furono i casi di truffe che richiesero un’intensa attività di controllo e supervisione sulla qualità dei prodotti. Alcuni esempi:

- il processo al calzaturificio Bises di Roma, accusato di aver lavorato con materiale scadente

- il caso di Guido Bacher e Giovanni Sari, soci del "Calzaturificio Moderno", cui erano state commissionate ben sedicimila paia di stivaletti militari contestati; 

- Antonio e Silvio Toccafondi, condannati a dieci anni di reclusione per aver fornito 1178 paia di stivaletti a gambaletto per la fanteria a 18 lire il paio confezionati con cuoio scadente, feltro vecchio e privi di sottosuole.

- Tra i più eclatanti lo scandalo - esteso a macchia d’olio seguendo la catena di subappalti - che affiancava due aziende note ai tempi, la Menesini-Servadio, produttrice di tomaie, che aveva sede in via Gioberti a Firenze e la “calzoleria Toscana” di via Martelli a Firenze, diretta a quel tempo da Leto Margheri. 

Una delle truffe più comuni era la produzione di scarpe militari contenenti cartone fra suola e suola, tanto più problematico se si pensa ai luoghi dove principalmente si svolse il conflitto. 




“Si fabbricano calzature sovrapponendo molti pezzi di stoffa fittamente cuciti con forte spago. Le grosse macchine Singer possono riunire dodici spessori di canovaccio da vela: la cucitura, stringendo l’ordito e la trama, collega gli strati sovrapposti: il tutto è reso solidale dalla impermeabilità e dal catrame, dalla pece, dal sego, dalla resina  dall’olio. 
I due strati superiori della suola composta sporgono ad alette per cucirvi le tomaie ed i gambali di grossa tela di canapa imbevibile con olio di lino” 
(La Stampa, 29 ottobre 1915). 


A rare moment of peace on the Italian front

Le comunicazioni ufficiali parlarono di un successo nella fornitura di calzature e teli impermeabilizzanti all’esercito tanto che i casi di congelamento agli arti erano ridotti praticamente a nulla, nonostante dislocamenti militari in montagna, anche oltre i 2000 metri. 

Però l’approvvigionamento delle calzature per l’esercito continuò a rimanere un problema e lo testimonia il fatto che si suggeriva ai richiamati di fornirsi di scarpe proprie:

“Si consiglia ogni buon cittadino di presentarsi alle armi con un buon paio di calzature di marcia (stivaletti allacciati con gambaletto, usualmente chiamati scarpe alpine) munite di chiodatura: ne ritrarrà il vantaggio di calzare scarpe già bene adattate al piede ed agevolerà in pari tempo le operazioni di vestizione presso i depositi, rendendole più speditive” 
[Ministero della Guerra, comunicazione ai richiamati, agosto 1915, messaggio ripetuto in chiamate successive]  

In relazione allo stato d’uso, sarebbe stato dato un compenso al richiamato per le calzature da L.16,50 a scendere. 

16 lire per le calzature era una quotazione piuttosto alta ed era la cifra pagata anche ai calzaturifici per spingere una produzione veloce e massiccia per le forniture all’esercito. 

E la qualità? Lasciamo la parola al poeta Piero Jahier, testimone diretto. 

"Scarpe" di Piero Jahier.



1915 | [Below]  Italian Army boots
From: The Footwear Museum Bertolini CATALOG | 1974
Source: Museo dell'Imprenditoria Vigevanese


With the Calzaturificio Borri timeline we are approaching the Great War. Giuseppe Borri was personally involved, having been appointed footwear's General Inspector, after the public recognitions of the previous years.

In few other occasions the Italian government gave more attention to footwear than during The Great War. Given the role played by Giuseppe Borri we'll talk about the footwear industry at that time, in particular:

- Footwear supplies to the army


- Footwear for civilians

In May 1915, during the pre-war turmoil, a royal decree established an interministerial Committee (preceded by the Marquis Senator Cassis, State Councillor) to deal with the crucial problem of supplying shoes to a new army and to the navy. 


The Committee had representatives from the Ministry of War, Navy, Agriculture, tanners and footwear manufacturers.
Committee's purpose was to identify potential suppliers for shoes and leather (it was later imposed to all the manufacturers an obligation to produce military footwear) and to create a national co-ordination between the suppliers to expedite the production. 


Price control on raw materials and finished products was also taken into account.

In addition to the limits of production capacity, a significant amount of frauds came into play.


A few examples:

- The proceedings against Bises shoefactory in Rome, charged for the use of poor materials;


- The case of Guido Bacher and Giovanni Sari, owners of the "Calzaturificio Moderno”. Sixteen thousand pairs of military boots had been rejected;


- Antonio and Silvio Toccafondi, sentenced to ten years imprisonment for providing 1178 pairs of boots with ankle pads for the infantry (18 Italian Liras a pair), made up of poor leather, old felt and without subsole.


-  One of the most sensational scandals – widely expanded along the chain of subcontractors - concerned two companies known at the time, the Menesini-Servadio, a shoe uppers manufacturer, with headquarters in Florence, via Gioberti, and the "Calzaturificio Tuscano" in Florence, Via Martelli, at that time directed by Leto Margheri.

One of the most common frauds was the production of military shoes containing cardboard between sole and sole. It was the biggest problem given where the conflict took place.



"Footwear is produced by overlapping many pieces of fabric sewn tightly with strong string. The big Singer machines can bring together twelve layers of sail cloth: the seam, holding the warp and weft, links the layers: the whole is made integral by tar, wax, tallow, resin and oil. The two upper layers of the sole jut out with little wings to sew uppers and ankle pads made with a thick canvas soaked in linseed oil "
[La Stampa, daily newspaper – 1915, October 29]




The official statements considered a success the supply of shoes and waterproof cloths so that cases of frozen limbs were reduced down to nothing despite weather conditions and aggressive environment (above 2000 meters).

However, the army footwear supplying remained a problem: proof was the suggestion to drafted soldiers to provide themselves with their own shoes:


"We exhort every good citizen to present himself to arms  with a good pair of marching shoes (laced boots with ankle pads, usually called alpine shoes) with hobnails, in order to benefit the advantage of wearing already well fitting shoes, and to speed up the clothing operations."
[Ministry of War, communication to drafted soldiers, August 1915, a message repeated in subsequent calls].


Up to 16,50 Italian Liras was paid for shoes in good conditions. 16 Italian Liras a pair was a pretty high price and the same amount was paid to the footwear factories in order to push a massive and fast production.

And what about the quality? As a witness, we'll let the poet Piero Jahier do the talking.


Piero Jahier's "Shoes".


1919 | PIERO JAHIER'S SHOES

Tratto da: PIERO JAHIER | Con me e con gli alpini. Primo quaderno
[Libreria della Voce - Firenze - 1919]

English text below


























Scarpe

Stando più basso di loro che mi circondano 
seduti sul declivio, vedo luccicar le brocche 
delle cento scarpe ferrate. 
Attacco a parlar scarpe, allora. 
Pochi han serbato le proprie. 
Avevano la moglie o il padre a cui doverle 
passare; erano scarpe aspettate. 
Eppoi son stati tentati dalle scarpe nuove che 
dà la patria. 

La patria - che è tanto potente - avrà certo 
preparato scarpe migliori del loro ciabattino. 
Ma quelli che han confidato nella patria si 
sono sbagliati; quelli che confidavano nel ciabattino han fatto bene. 

Levano il piede asciutto di dentro l'onesta 
scarpa puntuta del montanaro, tomaia arcuata 
su cui scivola l'acqua, suola che non sporge 
per farsi vedere, ma aderisce alla tomaia con 
stretta fessura che un fià de grasso basta a 
impermeabilizzare. 

Le scarpe che la patria ha dato - invece - 
son massa grame. 

O se bagnassero soltanto d'acqua! Ma mordono 
cogli acidi di conciatura. 
O se bagnassero solo quando piove! Ma sentono la nuvola in cielo; se appare la nuvola 
siamo belle fregati. 

Sono il nostro barometro le scarpe della patria. 
O se sciupassero soltanto i piedi ! 
Ma sciupano le calze col tannino. Sapete che 
una calza dura una marcia a un soldato? 
Si nutre di calze la scarpa americana. 
Noi eravamo abituati che ne le nostre scarpe 
"prima d'un ano no ghe pioveva". 
È una parola che fa pensare. 
Eppoi, anche la forma sbagliata. 
È stata scelta la scarpa quadra. 
Ma noi non siamo plantigradi americani. 
A noi ci vuole la scarpa puntuta perchè sotto 
la punta c'è il dito grosso, dito forte che 
piega, che trova la ruga sulla parete e ci si 
tiene; che spezza la crosta, che fruga. 

A noi ci vuole la scarpa che si cambia di 
piede: piede sinistro fa piede destro, quando 
uno è consumato. 

Abbiamo perso la sua utilità cosi giovevole 
all'alpino. 

E perchè tanto forti nel mantice dove bisogna 
esser gentili? 

Guardo con tristezza le scarpe della civiltà 
presuntuosa che ha sprezzato quell'altre primitive, figlie allo zoccolo montanaro e somiglianti al loro padre. 

E la superba civiltà del progresso senza confini. 
Da une parte entra i bovi; dall'altra esce 3000 
tomaia confezionate. 

O se sciupassero soltanto i piedi queste tomaie civili! 

O se bagnassero solo quando piove! 
Ma durano bagnate nella locanda di vento 
che è la camerata. 

Guardo con tristezza le scarpe della nostra 
potente patria: le mie e le loro, qui su questo 
prato d'Italia dove vorrei spiegare perchè la 
scarpa d'Italia è la migliore. 
Poi dico: ragazzi, sopportiamo perchè è la 
nostra patria. 

Facciamo conto di essere un po' maltrattati 
da nostra madre. 

Rimediamo col grasso, rimediamo colla cura. 
È un po' giovane la nostra patria. Quando 
si è giovani pare di far più presto a non seguire la strada. 

Era già fatta la scarpa alpina. 

E invece l'ha voluta inventare. 

Però nessuno ci impedirà di cantare che: 

le scarpine 
che noi portiamo 
son le rovine 
di noi soldà 
ovverosia che

le scarpette 
che noi portiamo 
son le barchette 
di noi soldà 

cara porca Italia, che coi piedi in molle vuoi 
farci morire! 

La firma nella prima edizione di "Con me e con gli alpini"

Jahier signature on the first edition of "With Me And The Alpini"

















FROM: PIERO JAHIER - With Me An The Alpini. First Book. 
[Libreria di Firenze - 1919]
[...]

The native Country - which is so powerful - would certainly prepare better shoes than the cobbler. But those who trusted the country were wrong, those who trusted the cobbler did well.

Their feet are dry inside the honest pointed shoe done by mountain dwellers, curved upper where the water slips away, sole that does not jut out to be seen, but adheres to the upper with a narrow slit that a pinch of fat makes waterproof.

The shoes gave by the Country - instead – are completely wretched.

Oh, if they would only wet with rainwater! And they bite with the acids of tanning. Oh if they would only wet when it rains! But they feel the cloud in the sky; if the clouds appear, we are done.

Our shoes are the barometer of the Country. Oh if they only damaged feet! But they waste socks with tannin. Stockings endure just a march to a soldier, did you know it?

[...]


Piero Jahier