Monday, February 28, 2011

ALDO SACCHETTI | A JEWELER BOTTIER [PART 1]

LA [RI]SCOPERTA DI ALDO SACCHETTI | IL CALZOLAIO DELLE DAME AL MUSEO INTERNAZIONALE DELLA CALZATURA DI VIGEVANO

DI IRMA VIVALDI


ALDO SACCHETTI
Via Aresenale, Turin


[English Text Below]

Al Museo internazionale della Calzatura di Vigevano c'é una calzatura femminile del 1960, di un bel verde acceso e di forma elegante. Una fine decorazione ricamata a fili d’oro, il nome dell’autore a caratteri svolazzanti su un’etichetta a forma di mandorla: ALDO SACCHETTI. Una grazia non comune.

Dopo averla vista per la prima volta in una teca insieme ad altre realizzazioni di Sacchetti, una più bella dell’altra, fu inevitabile il desiderio di conoscere meglio l’autore. Desiderio purtroppo subito frustrato: nessuna informazione in internet e nessun accenno nel Dizionario della Moda.




Aldo Sacchetti - THE ONE - 1957
Photograph: Irma Vivaldi



Nulla ad esclusione di un breve richiamo ad una esposizione personale al Museo di Vigevano nel 2005, anno in cui Sacchetti aveva donato buona parte della propria collezione allo stesso Museo. L'assenza di informazioni sembrava contraddire l’affermazione del comunicato stampa di quella stessa mostra:

Indossate dai personaggi più noti dello star system internazionale le calzature di Sacchetti hanno da sempre calcato le passerelle dell’haute couture fino a varcare la soglia del mondo della Moda per entrare in quello dell'Arte.

Nello stesso comunicato si leggeva che nel 1993 alcuni suoi modelli erano stati donati al Musée des Arts de la Mode et du Textile di Parigi presso la prestigiosa sede del Louvre.




Aldo Sacchetti - THE ONE - DETAIL - 1957
La tomaia è un pezzo unico col tacco | The heel and upper all in one piece.
Photograph: Irma Vivaldi



Contattato il Musée des Arts scopriamo che anche lì si sono dimenticati di Sacchetti. Verificano e rispondono che dal 1993 la donazione non è mai stata esposta al pubblico e finora neppure fotografata, a parte qualche istantanea per l’archiviazione, peraltro solo di alcuni modelli. 

Successivamente ci fanno sapere che il lascito comprende 31 articoli, di cui due sandali degli anni ’50, nove modelli degli anni ’60 e diversi del 1985. Più una suola violetta e nove tacchi in seta di vari colori. Un’addetta del museo invia tre scatti e informa che un' eventuale pubblicazione deve esser preceduta da saldo fattura. Fattura? Vogliamo far conoscere un patrimonio che vi é stato donato, e che lasciate a prendere polvere in qualche armadio, e chiedete fattura? No grazie.

"La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo è vana." disse Oscar Wilde. "Purtroppo tutto affonda nell'indifferenza" dichiarò invece qualche anno fa uno sfiduciato e profetico Aldo Sacchetti in un’intervista. 

Fortunatamente, a contraddire Aldo Sacchetti, c'é il museo di Vigevano che sottrae l'opera del calzolaio torinese alla totale cancellazione del tempo esponendone a rotazione tutti i modelli .




Aldo Sacchetti - Fifties Jewel #1
Ricami su capretto laminato e raso | Embroidery on satin and laminate kidskin
Photograph: Irma Vivaldi
Aldo Sacchetti - Fifties Jewel #2
Photograph: Irma Vivaldi



Aldo Sacchetti - Fifties Jewel #3
Photograph: Irma Vivaldi


ALDO SACCHETTI




ALDO SACCHETTI'S DISCOVERY | A JEWELER BOTTIER
by Irma Vivaldi

At the International Footwear Museum of Vigevano there's an elegant Sixties woman shoe in bright green with a fine decoration embroidered with golden thread. It bears the manufacturer name written in graceful letters inside an almond-shaped label: ALDO SACCHETTI. Everything suggested an uncommon grace and it was love at first sight.

The shoe was showcased with other works by Sacchetti, one more beautiful than the other, but sadly the desire to know more about the designer was brought to a halt. Nothing on internet and not even the Italian "Dizionario della Moda" mentioned him.

Nothing but a brief reference to an exhibition at the Museum of Vigevano back in 2005, when Sacchetti donated the bulk of his collection to the Museum itself. The lack of the information available seemed to contradict the press release:

Owned by the best-known figures of the international star system, Sacchetti shoes were a staple in haute couture's catwalks and then crossed the fashion threshold to enter the world of art.

In the same press release was stated that some of his models had been donated to the Musée des Arts de la Mode et du Textile in Paris at the prestigious Louvre (1993). I wrote them right away and found out that, even there, Sacchetti had been forgotten. Since 1993 - they said - the donation has never been shown, nor photographed with the exception of some snapshots for archival purposes (only a few models). 

They also said that the legacy includes 31 articles: two sandals from the Fifties, nine different models from the Sixties and some from from 1985. Then a violet sole and nine silky heels of different colours. A few days later a museum's employee took three snapshots and informed me that they can be used, but I needed to pay first. Pay first? I'd like to spread the word over a beautiful collection gathering dust in some closet and they want to cash in? Thank you but no thank you. Not all the museums act the same.

"Beauty is the only thing that time cannot harm" said Oscar Wilde. "Unfortunately, everything is turning into indifference" said a discouraged an prophetic Sacchetti some years ago in an interview.

On the bright side, all the Sacchetti's models at the International Footwear Museum of Vigevano are routinely exhibited. It's about time to re-discover Sacchetti's shoes.


ALDO SACCHETTI
I N D E X

Sunday, February 27, 2011

FASHION VERSUS STYLE | DAVID JOHANSEN BY RICHARD AVEDON SLASHED BY LESTER BANGS

1979 - Lucido, crudo ed efficace: Lester Bangs ascolta "In Style", secondo album solista di David Johansen (ex voce delle New York Dolls) e non ne rimane impressionato. Nemmeno per le immagini di Richard Avedon.

1979 - Sharp and smart: Lester Bangs listens to "In Syle", second solo album by former New York Dolls' vocalist David Johansen, and he's not impressed. Richard Avedon's shots don't help either. 


1979 - David Johansen - IN STYLE
[Epic]

[ENGLISH TEXT BELOW]


… le New York Dolls avevano STILE, una dote naturale che nessuno ti può dare - erano l'originalità incarnata.
Nella MODA, al contrario,  ci trovi solo una manica di stronzi che ti dicono come vestirti e comportarti in ogni circostanza.


1979 - David Johansen by Richard Avedon
front cover

[David Johansen] sembrava facesse qualsiasi cosa senza il minimo sforzo, compreso essere un sex symbol. Ovviamente meno sex symbol voleva apparire e più lo diventava. Alcuni dicevano che non sapesse cantare, ma così provavano solo quanto poco sapessero di rock'n'roll.


1979 - David Johansen by Richard Avedon
back cover

Coloro interessati alle improvvise svolte in carriera, qui troveranno materiale interessante, ma per chi ama David sarà triste in maniera cosmica.  Ha confuso la MODA con lo STILE e ha consentito che lo impacchettassero in maniera da risultare imbarazzante se non addirittura rivoltante.


1979 - David Johansen by Richard Avedon
lyric sheet

So benissimo che il primo album non ha avuto molti riscontri, come pure mi é noto che a David piaccia vestirsi bene e nemmeno mi sfugge che ha sempre voluto farsi fotografare da Richard Avedon. Quello che non mi aspettavo da una personalità unica come la sua, era un album di rock omogeneizzato con tratti che vanno dagli Stones a Springsteen …


1979 - Oh my: what I've done!
David Johansen by Richard Avedon

… spero infine che questo disco, e il suo attuale modo di essere,  rendano David una star. Mi auguro raggiunga la fama. E spero che, una volta raggiunta, abbia ancora qualcosa da dire. E anche che appaia più felice di quanto Richard Avedon lo possa far apparire.

[Estratti da The Grooming Of David Johansen - Pubblicato dal Village Voice, September 3, 1979 - Ristampato su Mainlines, Blood Feasts, And Bad Taste - Anchor Books 2003].
- Immagini da: WAX.FM


More from Avedon:


…the New York Dolls had style, which is something you can only possess in and yourself - it's originality, attitudinal distinction physicalized. Whereas fashion is just a bunch of assholes telling you how to dress and in fact conduct yourself in every area.

[David Johansen] seemed  to do everything perfectly with zero strain, including being a sex symbol, and naturally the less effort you put into sex the sexier you're gonna be. Some people said he couldn't sing, but they thereby proved how little they knew about rock'n'roll ...

There's something starting to happen here that's fascinating to the connoisseur of career twists and cosmically saddening to anyone who loves David: he's confused fashion with style, and let himself be packaged in a way that's embarrassing if not emetic.

I know the last album didn't get any airplay, just like I know that David likes sharp cloths with pockets full of spending loot, and that of course he always wanted his picture taken by Richard Avedon. What I didn't expect from somebody as unique as davis was an album of homogenized formula rock from Stones to Springsteen … 

… this album and his current grooming may help make David Johnasen a star at last. I still hope he gets there. I hope that when and if he does he's still got something to say. And I hope he looks happier than Richard Avedon could make him.

[Snippets from "The Grooming Of david Johansen - Originally published by the Village Voice, September 3, 1979 - reprinted on Mainlines, Blood Feasts, And Bad Taste - Anchor Books 2003]
- Images from: WAX.FM

More from Avedon:

Friday, February 25, 2011

INTRODUCING ARMANDO POLLINI | MUSEO INTERNAZIONALE DELLA CALZATURA, VIGEVANO

1962 | Armando Pollini
Vigevano
Source: NOVUS magazine 

Armando Pollini: direttore artistico del Museo Internazionale della Calzatura di Vigevano, designer, insegnante, imprenditore.

Armando Pollini: creative director at the International Footwear Museum of Vigevano, university professor, entrepreneur.



1962 | Armando Pollini
Vigevano
Source: NOVUS magazine 

1962 | Armando Pollini
Vigevano
Source: NOVUS magazine 

1970 | Armando Pollini for COGECA (Vigevano)
Man-made leather by laSkina
Vigevano
Source: NOVUS magazine 


MORE ARMANDO POLLINI

ARMANDO POLLINI
AT THE METROPOLITAN MUSEUM, NY

MADE IN ITALY 40+ YEARS AGO
ARMANDO POLLINI V/S FIORUCCI

THE HISTORY OF THE STILETTO HEEL
By ARMANDO POLLINI



1985 | ARMANDO POLLINI DESIGN
Photograph by GIOVANNI GASTEL

Thursday, February 24, 2011

(BEFORE AND AFTER) 1971 | BIRTH OF THE 100% GENUINE LEATHER TRADE-MARK A.K.A. VERO CUOIO

1956 | REMEMBER: genuine leather is good for you
Source: 3rd Parabiago Footwear Fair catalog

1961 | Vero Cuoio
Doctors and orthopedists alike suggest Vero Cuoio
Source: Calzature Italiane di Lusso magazine

1964 | Cuir AKA Cuoio AKA Genuine Leather
Made in France

1964 | Leather Industries of America | Genuine Leather
Source: LIFE magazine, September 1964


Era il 1971 e la battaglia era vivace fra le opposte fazioni dei sostenitori dei materiali naturali contro i materiali sintetici nelle calzature. La stampa specializzata rappresentava le diverse posizioni in campo. "Il Nuovo Corriere della Calzatura" faceva informazione sui nuovi materiali e sulle nuove tecnologie produttive. "La Conceria" rispondeva, derubricando i nuovi materiali a "surrogati" o "sostituti" del cuoio e accusando l’altro giornale di essere promotore di una fantomatica "centrale del sintetico".

1971: it was a lively battle between supporters of natural materials versus synthetic materials. The press tried to represent or sustain the various positions. "Il Nuovo Corriere della Calzatura" embraced the technology and spread the news about the new man-made medium while "La Conceria" (The Tannery) magazine downgraded the items as "surrogates" or "substitutes" of leather also accusing the other newspaper to act just like a "press-office for synthetic leather producers”. 



1971 | Vero Cuoio
The very first AD


Il “Centro Sviluppo e Propaganda Cuoio” decise di concretizzare la propria battaglia in un atto e per distinguere le scarpe fabbricate con materie prime naturali brevettò un marchio da apporre sulla suola delle scarpe. Nacque così il logo “VERO CUOIO” e fu lanciato un appello al settore calzaturiero per adottarlo.

Risposero 148 aziende a livello nazionale. Tra queste, i calzaturifici Borri, Titano, Alfiere, Davos Bottier, Rancir, Vibel Sport, Turconi Olimpic. Due anni dopo il marchio fu adottato anche dall'International Council of Tanners.


The "Centro Sviluppo e Propaganda Cuoio" [Leather Development and Promotion Center] decided to give it a spin so, to distinguish the "natural" shoes, they patented a mark for the shoe soles and the "VERO CUOIO" (GENUINE LEATHER) logo was born. The Center then appealed to the footwear industry to adopt it. 

148 companies answered the call throughout Italy: among them, the shoe factories Borri, Titano, Alfiere, Davos Bottier, Rancir, Vibel Sport, Turconi Olimpic. Two years later the logo was also adopted by the I.C.T. [International Council of Tanners].




1976 | Guaranteed VERO CUOIO

1976 | Guaranteed VERO CUOIO

1977 | Guaranteed VERO CUOIO

2010 | Manolo Blahnik soles
Photograph: Gianluca Colombo

Wednesday, February 23, 2011

AT THE MOVIES | 2008 | THE OTHER MAN | L'OMBRA DEL SOSPETTO | CALZATURIFICIO COVI MODA

ANTONIO BANDERAS E LAURA LINNEY AL CALZATURIFICIO COVI MODA DI CANTALUPO, FRAZIONE DI CERRO MAGGIORE, MILANO.

ANTONIO BANDERAS AND LAURA LINNEY AT THE SHOE MAKER COVI MODA [CERRO MAGGIORE, MILAN].





Realizzato all'inizio del 2008, "L'Ombra Del Sospetto" é stato girato tra Inghilterra e Italia: Cambridge, Milano, Como e Cerro Maggiore.
A noi interessa documentare la parte di Cerro (SS33, Milano) perché filmata all'interno del calzaturificio Covi Moda dove tra gli altri producono Nicole Brundage, Heather Williams e Olivia Morris. Quest'ultima ha scattato delle foto del laboratorio che hanno colto l'attenzione del regista britannico Richard Eyre (Diario Di Uno Scandalo, Iris): da qui il resto [Così la raccontano almeno ...].

"The Other Man" (2008) was filmed on location between England and Italy: Cambridge, Milan, Como and Cerro Maggiore (Milan).
We'll look into SS33's Cerro Maggiore because a major scene was shot inside the shoe maker Covi Moda, the place where Nicole Brundage, Heather Williams and Olivia Morris produce their shoes. UK's director Richard Eyre (Notes On A Scandal, Iris) got ahold of some picture taken by Olivia Morris and thought the place was the right one for a key scene [So they say ...].


Lisa Carentis'store
THE OTHER MAN | 2008 |

La storia racconta di una coppia felicemente sposata da venticinque anni, Lisa Carentis (Laura Linney) e Peter (Liam Neeson): Lisa disegna scarpe e i suoi viaggi di lavoro la portano spesso a Milano (Cerro Maggiore) dove si trova il calzaturificio Gianni & Gianni (Covi Moda) che produce le sue creazioni. Il sospetto di Peter si materializza dopo aver scoperto casualmente la cartella LOVE sul computer della moglie. Lui, lei e l'altro: l'altro si chiama Ralf (Antonio Banderas).

A seguire, la scena madre presso COVI MODA:

Lisa Carentis (Laura Linney) and Peter (Liam Neeson) have been happily married for 25 years: Lisa is a shoe designer and find herself frequently in Milan (Cerro Maggiore) to supervise her business with the shoe maker Gianni & Gianni (Covi Moda). Peter found by chance a folder - named LOVE - on Lisa's computer: the suspect begins. Him, her and the other. The other being Ralf (Antonio Banderas).

Following is the scene at the Covi Moda's factory.


They enter
THE OTHER MAN | 2008 |

They discuss
THE OTHER MAN | 2008 |

They dance ...
THE OTHER MAN | 2008 |

... and dance ...
THE OTHER MAN | 2008 |

... so well they trigger a big, huge ...
THE OTHER MAN | 2008 |

... round of applause ...
THE OTHER MAN | 2008 |

... and they leave.
THE OTHER MAN | 2008 |

Quasi surreale, ma così é andata. Ora memorizzate bene le scatole delle scarpe: poi diventeranno importanti. No, non per il film.

Almost surreal but that's the way it went. Now, please remember the pink shoe boxes: they'll became important. No, not for the movie.


THE OTHER MAN | 2008 |


COVI MODA
I N D E X

Monday, February 21, 2011

THE CALZATURIFICIO BORRI: MADE IN (THE KINGDOM OF) ITALY

Il Calzaturificio BORRI durante il ventennio fascista.

The Shoe Factory Borri under the fascist regime.

by Irma Vivaldi

May 1927 - [Ampelio Vimercati collection]
Giuseppe Borri, Busto Arsizio

[English Text Below]

“La Lira che è il segno della nostra economia, il simbolo dei nostri lunghi sacrifici e del nostro tenace lavoro, va difesa e sarà difesa fermissimamente, a qualunque costo” 
Benito Mussolini, dal discorso di Pesaro, 18 agosto 1926)

Nel 1926 la svalutazione della Lira era diventata insostenibile e l’Italia era ancora profondamente immersa nei problemi economici del Dopoguerra. Il discorso di Pesaro di Mussolini segnò l’inizio di una campagna intensa, nonché ricca di risvolti populistici, di contrasto all’inflazione e di lotta al caro vita, combattuta sui fronti dell’aumento della produzione interna e della riduzione dei costi. 

Nel corso del ’27 si moltiplicarono appelli ed iniziative governative volte a far abbassare i prezzi di cessione di tutte le merci. L’appello naturalmente riguardava anche i generi ritenuti di prima necessità, calzature incluse.

Giuseppe Borri era morto per un incidente nel dicembre del 1926. La guida del Calzaturificio Borri era passata quindi nelle mani dei figli, che già collaboravano con lui. In particolare in quelle del primogenito Ambrogio, di temperamento più severo ed autoritario rispetto a quello del padre.




1930s | Calzaturificio Borri
Model 22


Con Ambrogio Borri il nuovo corso aziendale apparve subito vicino alle politiche del governo. Uno dei primi segni di questo favore si ebbe già nel maggio del ’27, quando, rispondendo spontaneamente alla richiesta governativa di ridurre i prezzi di cessione delle merci, il Calzaturificio annunciò ai clienti una riduzione dei prezzi del 6%. 

Dopo aver segnalato le difficoltà di quella scelta, la direzione dichiarava: 

“la nostra decisione sorge quindi spontanea, dal solo desiderio di contribuire al risultato concreto e duraturo della campagna voluta dal nostro Governo, perché precipuo scopo di tutti gli animi e di tutte le coscienze deve essere il benessere Nazionale”.

Questo entusiasmo si mantenne evidentemente negli anni successivi e fu ricambiato da un occhio di riguardo da parte del governo fascista. 

Già nel 1929, infatti, l’allora ministro delle Corporazioni Giuseppe Bottai si recò in visita a Busto Arsizio, con l'occasione dell’inaugurazione di un monumento dedicato all'industriale Enrico Dell’Acqua, il “principe mercante”

In quell'occasione visitò solo tre impianti produttivi: il cotonificio Bustese, la tessitura Venzaghi e appunto il Calzaturificio Borri.





CALZATURIFICIO BORRI
I N D E X 



Calzaturificio Borri
Busto Arsizio, Varese


“The Lira which is the hallmark of our economy, the symbol of our long-term sacrifice and our hard work, must be defended and will be firmly defended by any means” 
Benito Mussolini, Pesaro speech, August 18, 1926

The devaluation of the Lira had become unsustainable in 1926 and Italy was still facing huge post-war economic problems.

Mussolini’s speech in Pesaro was the beginning of a campaign, full of populist implications, against the inflation and the high costs of living. The campaign aimed to increase the domestic production and to reduce costs.

In 1927 appeals and government initiatives were multiplied in order to drive down the sale price of all goods. The appeal applied to all goods considered necessities, footwear included.

Giuseppe Borri had died in an accident in December 1926. His sons took over, and Ambrogio, the eldest, known to be a bossy man, ran the shoe factory.

With Ambrogio at the helm, the company got closer to the government policies. In May 1927, Borri voluntarily joined the government request to lower retail prices and they announced a 6% price reduction:
“Our decision comes spontaneously from the mere desire to contribute to the concrete and lasting results of the campaign, desired by our government, because primary purpose of all the souls and consciences must be the national welfare.”
The fascists appreciated and two years later - when in Busto Arsizio - the then Minister of Corporations Giuseppe Bottai paid Borri a visit. The minister also visited the cotton mill BUSTESE and the VENZAGHI textile company after the monument's inauguration of the "merchant prince" Enrico Dell'Acqua..

HERE: two witnesses talk about the working conditions at Borri under the fascist regime.



CALZATURIFICIO BORRI
I N D E X

CALZATURIFICIO BORRI: HOW THE MADE IN (THE KINGDOM OF) ITALY WAS ACHIEVED

Intervista alle ex operaie del CALZATURIFICIO BORRI 
Testo raccolto da Nicoletta Bigatti*


L'ALTRA FATICA by Nicoletta Bigatti
(Guerini E Associati - 2008)



Nell'ambito delle interviste da noi realizzate, abbiamo ascoltato anche la voce di due ex operaie di questo stabilimento, che ci hanno fornito alcuni dati interessanti.

Molti indubbiamente sono, nei loro racconti, i punti in comune con le lavoratrici delle grandi fabbriche tessili: anche al Borri si veniva assunte con i libri in regola, a partire dal quattordici anni (per entrambe le signore l'ingresso in fabbrica risale al 1936); 

"avevamo un parente che lavorava dentro, così è stato più facile essere assunte: sapevano che operai prendevano. Al Borri senza un appoggio era difficile che ti prendevano: volevano gente onesta e lavoratrice".  
Ermelinda

Analogamente alle aziende tessili, poi, le bambine iniziavano con occupazioni più semplici, che in questo caso consistevano nel fare le spolette per le macchine (di colore diverso, a seconda delle cuciture richieste dalla calzatura), girare i reparti per segnalare mancanza di materiale o trasmettere comunicazioni, molare i coltelli per il taglio della pelle. Il periodo di apprendistato variava a seconda del tempo necessario per imparare le proprie mansioni.

La fabbrica ospitava personale maschile e femminile, a detta delle intervistate equamente ripartito. Con una rigida suddivisione di ruoli: agli uomini spettavano il taglio della pelle, il montaggio della calzatura e il finissaggio, le donne invece erano incaricate del lavoro sulle tomaie, con i moderni macchinari cui prima si faceva cenno. 

L'attività femminile si svolgeva in una grande sala, e ogni fase di lavorazione della tomaia doveva rispettare tempi rigidissimi, per evitare che l'addetta alla fase successiva restasse inoperosa. Ecco come Ermelinda descrive i tempi contingentati della giornata in fabbrica e la quasi totale impossibilità di permettersi attimi di distrazione:

"Neanche per andare al gabinetto potevamo fermarci: lavoravamo una vicina all'altra, perciò bisognava fare in fretta, come una catena di montaggio. Se si andava via bisognava sbrigarsi, si doveva avere occhio per tornare in tempo. Per scambiare due parole dovevamo farlo di nascosto; mi ricordo che ogni tanto qualcuna comprava la focaccia e ce la passavamo, un boccone a una, uno all'altra, sempre di nascosto... 
Mi ricordo che una volta hanno chiamato delle persone che cronometravano il lavoro: si mettevano vicino e calcolavano il tempo che serviva per un certo lavoro. Ma il tempo non si poteva calcolare: poteva capitare che si rompeva il filo, o la cinghia della macchina... in una giornata questi inconvenienti capitavano…"

L'urgenza dei ritmi di produzione veniva vissuta come uno degli aspetti più negativi del lavoro: per il resto il rumore era limitato, gli incidenti rari e l'odore delle colle e delle vernici appariva un inconveniente abbastanza tollerabile.

In modo molto più negativo le intervistate ricordano la disciplina rigidissima che vigeva in azienda:

"Avevamo la maestra che controllava il lavoro; ma soprattutto c'era lui, il Borri (il "sciur" Ambrogio, poi c'erano gli altri due figli, Enrico e Carlo): se capitava che si voleva dire due parole e arrivava lui... guai. Capitava sempre all'improvviso e poi magari stava lì mezz'ora andando su e giù con la maestra. 
Controllava tutto il giorno, insieme con la mamma, la signora Rosa, che aveva fondato col marito lo stabilimento. Se qualcosa non andava bene lei si metteva dietro, e noi con dietro lei che guardava non eravamo più capaci di lavorare.. . una paura!"  
Ermelinda

"Ti dicevano: se non lavori, là c'è il cancello... e noi tacevamo perché avevamo bisogno."  
Rosa

Ermelinda trova anche un'altra giustificazione alla remissività con cui le operale accettavano atteggiamenti severi e imposizioni:

"Stavamo tutte buone anche se i padroni erano severi: eravamo dominate sul lavoro come eravamo dominate in casa".

Una condizione femminile di generale sottomissione che faceva vivere la fabbrica come naturale proseguimento della vita in famiglia. Ermelinda non avrebbe potuto essere più chiara.



* Tratto da: L'ALTRA FATICA - Lavoro femminile nelle fabbriche dell'Alto Milanese 1922-1943
di Nicoletta Bigatti - [Guerini E Associati - 2008]. Per gentile concessione dell'autrice.



CALZATURIFICIO BORRI
I N D E X


Calzaturificio Borri
Inside The Factory



From an interview with two former workers of the Borri plant. By Nicoletta Bigatti. Courtesy of the author.


Ermelinda: 
"No way you could stop to go to the toilet: we used to work side by side, so you had to be quick, like an assembly line. If you had to go away, you needed to hurry up and be back on time.

Chatting wasn't allowed. Sometime it happened that one of us bought a cake and we had to pass it along just one morsel at a time, always in secret ... 
I remember one time they called some people to time our work: they were next to us checking the time to make a certain operation. But time couldn’t be calculated; a break could happen anytime, it might be a wire or the machine belt ... in a day's work it was the norm ... "

"We had a master who controlled the work, but above all there was Mr. Borri (the "sciur" Ambrogio, then there were two other sons, Enrico and Carlo). He used to show up unannounced and then he stayed there half an hour going up and down with the master.

He used to check on us throughout the day, along with his mother, Mrs. Rosa, who had founded the factory with her husband. She used to stand behind us and - with her controlling from behind - we were no longer able to work .. . scary!"

Rosa:
"They used to say: it's our way or the highway ... and we remained silent because we needed the job."


* Ta
ken from: L'ALTRA FATICA - Female work in the Milan's northside factories 1922-1943 by Nicoletta Bigatti - [Guerini E Associati - 2008]. Published with permission of the author.

Sunday, February 20, 2011

TBAMFW INTERLUDE: LESTER BANGS DESTROYS STEVIE NICKS [FEATURING LADY GAGA]

Lester Bangs, Stevie Nicks e Lady Gaga nella stessa frase? E Alexander McQueen cosa c'entra? Un attimo di pazienza. Intanto Lester Bangs ci parla di finto rock, scarpe e Cattivo Gusto.

Lester Bangs, Stevie Nicks and Lady Gaga in the same breath? And what about Alexander McQueen? Hold on a sec. Meanwhile: Lester Bangs talks about plastic rock, shoes & Bad Taste.

BY IRINA PALMA




1981 - Stevie Nicks - Bella Donna 
(Modern Records)

Lester Bangs [1] dalle pagine del Village Voice distrugge con buona ragione l'esordio di Stevie Nicks [Fleetwood Mac] e lo fa ironizzando (anche) sull'immagine da strega della foto di copertina.

Qualcuno potrebbe già scoraggiarsi per il fatto che viene indicato un parrucchiere diverso per ogni pettinatura - copertina, retro e foto interne - anche se é evidentemente sempre la stessa [fatti ridare i soldi Stevie]. Infine: quelle sono le scarpe più inguardabili dai tempi gloriosi di Quay Lewd dei Tubes. Ma quale strega si metterebbe i tacchi alti?
Comunque i dischi si comprano per le canzoni - non per le scarpe - e anche qui siamo messi male.

From the Village Voice, Lester Bangs [1] slashed with good reasons the debut album by Stevie Nicks [Fleetwood Mac]. Also the witch-like image of the cover got a few words.


Some listeners may be more unnerved by the fact that the front cover credits a different hairstylist than the back and the inner sleeve and it damn sure looks like the same haircut (demand your money back). Finally, those are the dumbest shoes since the halcyon days of Quay Lewd and the Tubes. What kind of witch wears stacked heels?
But people don't buy records for shoes, they buy them for songs, and now we're back in bunch of shit territory again.



1981 - Stevie Nicks - Bella Donna
DETAIL

Per quanto si vede - le scarpe non sono nemmeno così ripugnanti, non come la musica almeno. Ma Quay Lewd alias Fee Waybill, leader dei rivoltosi Tubes, cosa indossava?

As far as I can see, the shoes are not that bad, not like the music that is. But, what about Quay Lewd - A.K.A. Fee Waybill, lead singer for the Tubes? What kind of shoes he wore?



November 25, 1977
Quay Lude A.K.A. Fee Waybill - The Tubes
Keystone Press


Oops: già viste? Ancora convinti che le claw shoes le abbia disegnate Alexander McQueen??

Oops: still convinced it's an Alexander McQueen's idea?

MESSAGE FROM FEE WAYBILL [THE TUBES]
THESE BOOTS OF MINE


[1] LESTER BANGS - STEVIE NICKS: LILITH OR BIMBO
[Village Voice, November 1981 - Reprinted on Mainlines, Blood Feasts And Bad Taste - 2003 Anchor Books]