1915-1918 | FOOTWEAR AT THE FOREFRONT [THE ARMY]

SCARPE IN PRIMA LINEA [L'ESERCITO]
di Irma Vivaldi



International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph: Irma Vivaldi

International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph by WOP

International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph by WO

International Footwear Museum Of Vigevano
Esercito Italiano 1915-1918 | Italian Army 1915 - 1918
Photograph by WO


[English text below]


Con la storia del Calzaturificio Borri siamo arrivati alle soglie della Grande Guerra. Giuseppe Borri ne fu personalmente coinvolto essendo stato nominato Ispettore Generale delle calzature nazionali, dopo gli importanti riconoscimenti pubblici degli anni precedenti.

In poche altre occasioni è stata data un'attenzione governativa così alta alle calzature come durante il primo conflitto mondiale. Visto il ruolo ricoperto da Giuseppe Borri apriamo due parentesi su alcuni aspetti del mondo calzaturiero di quegli anni:

- le forniture calzaturiere all'esercito

- le calzature civili.

Nel maggio del 1915, in pieno fermento pre-bellico, un decreto reale istituì una commissione interministeriale, preceduta dal senatore marchese Cassis, consigliere di Stato, che si doveva occupare del grosso problema dell’approvvigionamento di calzature per un nuovo esercito e per la marina. Della commissione facevano parte rappresentanti del ministero della Guerra, della Marina e dell’Agricoltura, degli industriali conciatori e degli industriali calzaturieri. 

Scopo della commissione era identificare i possibili fornitori a livello nazionale per le calzature e le pelli (fu poi istituito l'obbligo per tutti i fabbricanti di produrre calzature militari) e creare un coordinamento nazionale fra questi fornitori per facilitare la produzione. L’altro principale filone di attività era la determinazione ed il controllo dei prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti.

Oltre ai limiti della capacità produttiva, numerosi furono i casi di truffe che richiesero un’intensa attività di controllo e supervisione sulla qualità dei prodotti. Alcuni esempi:

- il processo al calzaturificio Bises di Roma, accusato di aver lavorato con materiale scadente

- il caso di Guido Bacher e Giovanni Sari, soci del "Calzaturificio Moderno", cui erano state commissionate ben sedicimila paia di stivaletti militari contestati; 

- Antonio e Silvio Toccafondi, condannati a dieci anni di reclusione per aver fornito 1178 paia di stivaletti a gambaletto per la fanteria a 18 lire il paio confezionati con cuoio scadente, feltro vecchio e privi di sottosuole.

- Tra i più eclatanti lo scandalo - esteso a macchia d’olio seguendo la catena di subappalti - che affiancava due aziende note ai tempi, la Menesini-Servadio, produttrice di tomaie, che aveva sede in via Gioberti a Firenze e la “calzoleria Toscana” di via Martelli a Firenze, diretta a quel tempo da Leto Margheri. 

Una delle truffe più comuni era la produzione di scarpe militari contenenti cartone fra suola e suola, tanto più problematico se si pensa ai luoghi dove principalmente si svolse il conflitto. 




“Si fabbricano calzature sovrapponendo molti pezzi di stoffa fittamente cuciti con forte spago. Le grosse macchine Singer possono riunire dodici spessori di canovaccio da vela: la cucitura, stringendo l’ordito e la trama, collega gli strati sovrapposti: il tutto è reso solidale dalla impermeabilità e dal catrame, dalla pece, dal sego, dalla resina  dall’olio. 
I due strati superiori della suola composta sporgono ad alette per cucirvi le tomaie ed i gambali di grossa tela di canapa imbevibile con olio di lino” 
(La Stampa, 29 ottobre 1915). 


A rare moment of peace on the Italian front

Le comunicazioni ufficiali parlarono di un successo nella fornitura di calzature e teli impermeabilizzanti all’esercito tanto che i casi di congelamento agli arti erano ridotti praticamente a nulla, nonostante dislocamenti militari in montagna, anche oltre i 2000 metri. 

Però l’approvvigionamento delle calzature per l’esercito continuò a rimanere un problema e lo testimonia il fatto che si suggeriva ai richiamati di fornirsi di scarpe proprie:

“Si consiglia ogni buon cittadino di presentarsi alle armi con un buon paio di calzature di marcia (stivaletti allacciati con gambaletto, usualmente chiamati scarpe alpine) munite di chiodatura: ne ritrarrà il vantaggio di calzare scarpe già bene adattate al piede ed agevolerà in pari tempo le operazioni di vestizione presso i depositi, rendendole più speditive” 
[Ministero della Guerra, comunicazione ai richiamati, agosto 1915, messaggio ripetuto in chiamate successive]  

In relazione allo stato d’uso, sarebbe stato dato un compenso al richiamato per le calzature da L.16,50 a scendere. 

16 lire per le calzature era una quotazione piuttosto alta ed era la cifra pagata anche ai calzaturifici per spingere una produzione veloce e massiccia per le forniture all’esercito. 

E la qualità? Lasciamo la parola al poeta Piero Jahier, testimone diretto. 

"Scarpe" di Piero Jahier.



1915 | [Below]  Italian Army boots
From: The Footwear Museum Bertolini CATALOG | 1974
Source: Museo dell'Imprenditoria Vigevanese


With the Calzaturificio Borri timeline we are approaching the Great War. Giuseppe Borri was personally involved, having been appointed footwear's General Inspector, after the public recognitions of the previous years.

In few other occasions the Italian government gave more attention to footwear than during The Great War. Given the role played by Giuseppe Borri we'll talk about the footwear industry at that time, in particular:

- Footwear supplies to the army


- Footwear for civilians

In May 1915, during the pre-war turmoil, a royal decree established an interministerial Committee (preceded by the Marquis Senator Cassis, State Councillor) to deal with the crucial problem of supplying shoes to a new army and to the navy. 


The Committee had representatives from the Ministry of War, Navy, Agriculture, tanners and footwear manufacturers.
Committee's purpose was to identify potential suppliers for shoes and leather (it was later imposed to all the manufacturers an obligation to produce military footwear) and to create a national co-ordination between the suppliers to expedite the production. 


Price control on raw materials and finished products was also taken into account.

In addition to the limits of production capacity, a significant amount of frauds came into play.


A few examples:

- The proceedings against Bises shoefactory in Rome, charged for the use of poor materials;


- The case of Guido Bacher and Giovanni Sari, owners of the "Calzaturificio Moderno”. Sixteen thousand pairs of military boots had been rejected;


- Antonio and Silvio Toccafondi, sentenced to ten years imprisonment for providing 1178 pairs of boots with ankle pads for the infantry (18 Italian Liras a pair), made up of poor leather, old felt and without subsole.


-  One of the most sensational scandals – widely expanded along the chain of subcontractors - concerned two companies known at the time, the Menesini-Servadio, a shoe uppers manufacturer, with headquarters in Florence, via Gioberti, and the "Calzaturificio Tuscano" in Florence, Via Martelli, at that time directed by Leto Margheri.

One of the most common frauds was the production of military shoes containing cardboard between sole and sole. It was the biggest problem given where the conflict took place.



"Footwear is produced by overlapping many pieces of fabric sewn tightly with strong string. The big Singer machines can bring together twelve layers of sail cloth: the seam, holding the warp and weft, links the layers: the whole is made integral by tar, wax, tallow, resin and oil. The two upper layers of the sole jut out with little wings to sew uppers and ankle pads made with a thick canvas soaked in linseed oil "
[La Stampa, daily newspaper – 1915, October 29]




The official statements considered a success the supply of shoes and waterproof cloths so that cases of frozen limbs were reduced down to nothing despite weather conditions and aggressive environment (above 2000 meters).

However, the army footwear supplying remained a problem: proof was the suggestion to drafted soldiers to provide themselves with their own shoes:


"We exhort every good citizen to present himself to arms  with a good pair of marching shoes (laced boots with ankle pads, usually called alpine shoes) with hobnails, in order to benefit the advantage of wearing already well fitting shoes, and to speed up the clothing operations."
[Ministry of War, communication to drafted soldiers, August 1915, a message repeated in subsequent calls].


Up to 16,50 Italian Liras was paid for shoes in good conditions. 16 Italian Liras a pair was a pretty high price and the same amount was paid to the footwear factories in order to push a massive and fast production.

And what about the quality? As a witness, we'll let the poet Piero Jahier do the talking.


Piero Jahier's "Shoes".



 

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